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Gli orrori e la propaganda russa nelle parole di Volodymyr

Le parole che mi ha detto Volodymyr, più che un’intervista, sono una testimonianza delle atrocità perpetrate dai russi in Ucraina sin dal 2014
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Gli orrori e la propaganda russa nelle parole di Volodymyr

Le parole che mi ha detto Volodymyr, più che un’intervista, sono una testimonianza delle atrocità perpetrate dai russi in Ucraina sin dal 2014
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Gli orrori e la propaganda russa nelle parole di Volodymyr

Le parole che mi ha detto Volodymyr, più che un’intervista, sono una testimonianza delle atrocità perpetrate dai russi in Ucraina sin dal 2014
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Le parole che mi ha detto Volodymyr, più che un’intervista, sono una testimonianza delle atrocità perpetrate dai russi in Ucraina sin dal 2014
Chernivtsi – Ogni mattina, alle otto in punto, gli stessi altoparlanti da cui risuonano le sirene per avvisare dell’imminente attacco russo diffondono nelle strade le note dell’inno nazionale ucraino: «Non è ancora morta la gloria dell’Ucraina né la sua libertà. A noi, giovani fratelli, il destino sorriderà ancora. I nostri nemici scompariranno come rugiada al sole e noi, fratelli, regneremo nel nostro Paese libero». Ad attendermi fuori dal bunker c’è Volodymyr, responsabile del coordinamento di quei volontari che, incuranti del pericolo, attraversano tutto il Paese per portare beni di prima necessità e rifornimenti tanto ai militari al fronte quanto ai civili nelle città devastate dalla furia rascista. Più che un’intervista, la sua è una preziosa testimonianza delle atrocità perpetrate e delle menzogne diffuse dalla Russia nell’ultima decade. Non appena vengono accese le telecamere, Volodymyr sottolinea quanto lui e le centinaia di altri volontari siano attivi da almeno 10 anni, cioè da quando è iniziata l’invasione russa dell’Ucraina. «Ancor prima del 2014 un gran numero di famiglie russe provviste di passaporti ucraini freschi di stampa ha iniziato a insediarsi nei territori più a Est del Donbas e in Crimea. Pur essendo zone russofone, è stato semplice capire che non si trattava di ucraini ma di russi poiché non conoscevano affatto le nostre usanze e la nostra storia». Volodymyr menziona i cosiddetti little green men, uomini armati in divise verdi sprovviste di mostrine e chevrón identificativi che si sono resi artefici di quelle attività terroristiche locali che poi sarebbero state rivendicate da gruppi indipendentisti di cui mai nessuno aveva sentito parlare. Quando faccio notare che spesso all’estero e soprattutto in Italia quella nel Donbas viene descritta come una guerra civile, Volodymyr sorride stizzito: «È pura follia». Ripercorsi gli eventi dell’Euromaidan – con la cacciata del regime cleptocratico di Yanukovich, che aveva legittimato l’ingresso dei soldati russi in Crimea sottoscrivendo con Medvedev lo scellerato e incostituzionale “patto di Kharkiv” – Volodymyr si sofferma sulla percezione diffusa in un Occidente intenzionalmente cieco dinanzi a un’invasione già in atto e consapevolmente prono alla narrazione “comoda” di un conflitto interno diffusa dal Cremlino. «Se Angela Merkel non si fosse opposta nel 2008 all’ingresso dell’Ucraina nella Nato, probabilmente oggi non saremmo in questa situazione. Ma Putin aveva e ha ancora molti amici all’estero». Raccontandomi il suo primo ingresso a Izjum dopo l’occupazione, a stento riesce a descrivere il terrore negli occhi dei superstiti, le fosse comuni, le camere della tortura. «Ho visto tutto. Prima o poi qualcuno dovrà pagare per quel che ha fatto». Durante le centinaia di migliaia di chilometri percorsi ha collezionato le testimonianze dirette di persone massacrate nel corpo e nell’anima, traumatizzate al punto da non riuscire a parlare per settimane pur dopo esser state liberate. Gli occhi di quelle persone, l’odore della morte, il pianto dei bambini e dei padri di fronte alla perdita di ogni cosa lo accompagneranno per tutta la vita, ma sono anche il motivo per cui Volodymyr non smetterà di viaggiare. Di Giorgio Provinciali

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