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Soleterre in Ucraina, la rinascita dei bambini

Il prezioso lavoro dell’Onlus Soleterre, da 15 anni in Ucraina, per dare nuova vita ai bambini traumatizzati dalle barbarie della guerra
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Soleterre in Ucraina, la rinascita dei bambini

Il prezioso lavoro dell’Onlus Soleterre, da 15 anni in Ucraina, per dare nuova vita ai bambini traumatizzati dalle barbarie della guerra
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Soleterre in Ucraina, la rinascita dei bambini

Il prezioso lavoro dell’Onlus Soleterre, da 15 anni in Ucraina, per dare nuova vita ai bambini traumatizzati dalle barbarie della guerra
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Il prezioso lavoro dell’Onlus Soleterre, da 15 anni in Ucraina, per dare nuova vita ai bambini traumatizzati dalle barbarie della guerra
Stass ha solo 12 anni ed è sopravvissuto a ben due missili. La prima volta, nel 2014 in Donbas, era stato colpito gravemente perdendo parzialmente l’uso di un braccio. Otto anni dopo, con l’invasione russa su larga scala dell’Ucraina, è stato colpito per la seconda volta. Un missile è esploso conficcandogli per 8 centimetri un pezzo di ferro nel cranio. Quando i genitori lo prendono in braccio, Stass è in un bagno di sangue; decidono di portarlo a Leopoli nell’ospedale di Soleterre Onlus e lì i medici intervengono sapendo che le sue condizioni sono troppo critiche per sperare di salvarlo. Dopo sei settimane di coma Stass si risveglia, ha cicatrici sul viso e una disabilità creata dall’uomo. «Tutti i bambini che stiamo curando qui erano bambini sani» racconta Damiano Rizzi, psicologo, psicoterapeuta, fondatore e presidente di Soleterre, che da 15 anni opera in Ucraina. «È stato difficile staccarmi emotivamente da questa storia perché Stass ha l’età di mio figlio» spiega. «Nonostante le conseguenze dell’intervento ora ha una vita regolare e ha ripreso un po’ a parlare grazie alla logopedia e alla psicoterapia». Perdere l’uso della parola è una delle sintomatologie più frequenti nei bambini sopravvissuti alla guerra che il dottor Rizzi e il suo staff assistono quotidianamente: «Quando arrivano fingono di essere morti, non parlano, restano a letto in posizione fetale e l’unica cosa che fanno è piangere». Poi, col tempo e tanta pazienza, anche i più piccoli presi in carico da questa associazione tornano ad avere fiducia negli esseri umani. «È complicato provare a mettersi nei panni di un bambino che non sa nemmeno cosa sia la vita e che viene devastato da una bomba» continua Rizzi. «Si ritrova in un ospedale con persone estranee, senza gli affetti più stretti, senza una mamma né un papà. La prima reazione che hanno questi bimbi traumatizzati è quella di regredire fino a smettere di parlare», ma per il fondatore di Soleterre a vincere è sempre e soltanto la vita. «Si può essere colpiti da un missile anche due volte, ma tutto cambia quando hai vicino persone che si prendono cura di te dal punto di vista medico e psicologico». A Leopoli la Fondazione offre supporto psicologico ai bambini feriti dalla guerra, ma non solo. A Kyiv ha da poco inaugurato una grande casa di accoglienza per bambini malati di cancro, offrendo loro riabilitazione fisica, psicomotricità, fisioterapia e riabilitazione neuropsichiatrica, oltre a quella psicologica. Soleterre opera in Ucraina, Polonia e Italia e vede operare 21 psicologi da remoto e altrettanti in presenza nelle città con il maggior numero di rifugiati. Un faro di luce che riesce a donare ancora speranza. Il 24 febbraio 2022 questa Onlus ha effettuato la più grande evacuazione di pazienti oncologici di tutta l’Ucraina (2mila in tutto, 12 quelli trasportati e accolti in Italia). «Qui i traumi sono continuativi, ogni giorno i civili sono esposti a eventi difficili. Hanno la sensazione di essere sempre in stato di allerta, vivono costantemente con la paura fino a non riuscire a dormire la notte. Ora immaginate che questo si ripeta tutti i giorni dal febbraio 2022» continua il dottor Rizzi. «La mente tende a normalizzare: è un meccanismo di difesa per riuscire a sopravvivere». Un esempio di questa ‘normalizzazione’ l’aveva colta durante una delle sue missioni a Sarajevo: «Quando i cecchini sparavano, i ragazzi uscivano di casa dicendo: “Se devo morire come un topo in cantina, preferisco morire all’aperto con i miei amici”. Significava strappare un pezzo di vita laddove la vita veniva impedita». di Claudia Burgio

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