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Una clessidra che segna il tempo

Una clessidra che segna il tempo

Sulla scia del “Movimento dei nastri gialli” in alcune città ucraine si sta diffondendo una clessidra disegnata con lo spray, segno del tempo che scorre fino alla sperata liberazione
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Una clessidra che segna il tempo

Sulla scia del “Movimento dei nastri gialli” in alcune città ucraine si sta diffondendo una clessidra disegnata con lo spray, segno del tempo che scorre fino alla sperata liberazione
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Una clessidra che segna il tempo

Sulla scia del “Movimento dei nastri gialli” in alcune città ucraine si sta diffondendo una clessidra disegnata con lo spray, segno del tempo che scorre fino alla sperata liberazione
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Sulla scia del “Movimento dei nastri gialli” in alcune città ucraine si sta diffondendo una clessidra disegnata con lo spray, segno del tempo che scorre fino alla sperata liberazione
Chernivtsi – I lettori più attenti ricorderanno il “Movimento dei nastri gialli” nato nella Kherson occupata, a testimonianza della crescente presenza di partigiani ucraini. Un piccolo drappo giallo (talvolta anche giallo e blu) avvolto intorno a un palo, una ringhiera o qualsiasi altro oggetto situato in zone di passaggio o comunque molto frequentate era sia il codice con cui i partigiani confortavano i civili vessati dagli occupanti russi sia un monito per questi ultimi: la promessa cioè che di lì a poco sarebbero stati scacciati da ogni singolo centimetro di terra ucraina. A Melitopol’ ed Enerhodar è sorto un movimento simile che preannuncia l’imminente grande controffensiva per liberare l’oblast’ di Zaporizhzhya. Il suo simbolo è una clessidra creata tracciando con una bomboletta di vernice spray una seconda diagonale alla “Z” e ormai lo si trova disegnato pressoché ovunque. Il triangolino creatosi in alto viene colorato di blu, quello sottostante invece di giallo. Per sottolineare il poco tempo rimasto agli invasori, talvolta i partigiani aggiungono alla clessidra la scritta “НАБЛИЖАЄТЬСЯ ЧАС ДЕОКУПАЦІЇ” (“Si avvicina il tempo della disoccupazione”). In questi giorni ho parlato con Hrisha, un elettricista sulla sessantina riuscito miracolosamente a scappare da Melitopol’ proprio durante l’ingresso delle truppe rasciste. Mi ha raccontato che l’autofurgone dietro il suo, su cui viaggiava il figlio, è stato fermato durante il loro tentativo di fuga, costringendo il ragazzo a rientrare nella città occupata. È intrappolato da ormai quasi un anno e Hrisha, che riesce a sentirlo raramente, prova a descrivere a parole quanto sia straziante ascoltare la disperazione del ragazzo. Deperito e affranto, dalla scorsa estate è infatti costretto a scavare trincee e terrapieni per almeno 8-10 ore al giorno, in ogni condizione atmosferica. Molti ragazzi ucraini come lui sono stati persino inviati nei terreni minati con un fucile puntato contro («Vai avanti, sennò ti sparo») oppure costretti a prestar servizio al fronte. Obbligati a correre verso le prime linee ucraine indossando l’uniforme russa ma senza chevròn (la patch identificativa col nome ricamato), cadono a decine sotto i colpi dei loro connazionali. In questo macabro e sadico gioco al massacro, i russi cercano d’identificare le posizioni di tiro degli ucraini per poi rivolgergli contro droni armati e colpi di mortaio. Commosso, Hrisha mi dice che finché il figlio scaverà non sarà usato come carne da macello, ma spiega quanto sia difficile comunicare in codice con lui cercando di non essere scoperti. Vorrebbe soprattutto tranquillizzarlo sul fatto che presto la Zsu arriverà anche a Melitopol’. In Ucraina le famiglie sono molto numerose: non di rado capita di parlare con chi ha parenti anche molto stretti nelle città temporaneamente occupate. In questi mesi ho compreso che le sacche di resistenza partigiana a Melitopol’ sono davvero molto nutrite e ben organizzate. Le numerose immagini di clessidre gialloblu che ho ricevuto sono realmente il preludio di un’altra grande controffensiva, che stavolta taglierebbe gli approvvigionamenti via terra alla Crimea occupata e con essi le gambe su cui poggia il disegno criminale di Putin. di Giorgio Provinciali

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