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Verso l’atto finale in Ucraina

È la prima volta, dalla fine della II Guerra Mondiale, che mezzi corazzati occidentali toccheranno suolo ucraino. L’Europa è pronta a sostenere la causa ucraina in quello che sembra essere, a marzo, l’atto finale.
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Verso l’atto finale in Ucraina

È la prima volta, dalla fine della II Guerra Mondiale, che mezzi corazzati occidentali toccheranno suolo ucraino. L’Europa è pronta a sostenere la causa ucraina in quello che sembra essere, a marzo, l’atto finale.
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Verso l’atto finale in Ucraina

È la prima volta, dalla fine della II Guerra Mondiale, che mezzi corazzati occidentali toccheranno suolo ucraino. L’Europa è pronta a sostenere la causa ucraina in quello che sembra essere, a marzo, l’atto finale.
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È la prima volta, dalla fine della II Guerra Mondiale, che mezzi corazzati occidentali toccheranno suolo ucraino. L’Europa è pronta a sostenere la causa ucraina in quello che sembra essere, a marzo, l’atto finale.
Per la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale mezzi corazzati di fabbricazione occidentale toccheranno il suolo ucraino. La Germania ha sbloccato l’invio dei panzer Bmp Marder e la Francia fornirà un lotto di veicoli corazzati classificati come “carri armati leggeri” Amx-10rc (armati con bocche di fuoco da 105 mm), oltre un lotto di blindati Acmat. Col prossimo pacchetto d’aiuti militari gli Stati Uniti invieranno veicoli da combattimento corazzati M2 Bradley (più potenti degli M113 già forniti a Kyiv) e missili anticarro Tow. Il ministro degli Esteri britannico James Claverley ha dichiarato che anche la Gran Bretagna è in grado di fornire tank all’Ucraina e con ogni probabilità lo farà. Intanto, mentre i russi rimuovono dai cadaveri dei propri soldati gli chevron di velcro con il name tag per impedirne l’identificazione, per la prima volta dopo 9 anni i militari ucraini entrano nel territorio dell’autoproclamata Repubblica di Donetsk. Il capo dell’intelligence ucraina Kyrylo Budanov ha accennato alla prossima controffensiva: «Sarà la più grande liberazione di territori mai vista e includerà Crimea e Donbas» ha detto, aggiungendo che «in primavera ciascun contribuente americano sarà in grado di vedere dov’è stato destinato ogni singolo centesimo che ha versato affinché libertà e democrazia prevalgano». Ormai è chiaro che a marzo andrà in scena l’atto finale, la resa dei conti tra aggressore e aggredito. Se in ambito bellico Putin ha inanellato una serie spaventosa d’insuccessi umilianti ed errori grossolani, rivelando le carenze macroscopiche del secondo esercito al mondo, anche sul piano diplomatico s’è chiuso ogni via d’uscita: con l’annessione unilaterale delle 4 oblast’ ucraine ha posato una pietra tombale sopra ogni chance di dialogo o exit strategy meno disonorevole dal conflitto. Il castello di bugie su cui s’è eretto per decenni il russkij mir si sta sgretolando anche in seno all’Onu. Il processo di delegittimazione dell’adesione della Russia al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite avviato dal ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba è ora oggetto di studio internazionale. Ne abbiamo scritto per primi diversi mesi fa, spiegando come l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche nacque nel 1922 dal vincolo volontario di quattro Paesi: Ucraina, Bielorussia, Russia e Repubblica Transcaucasica, che sottoscrissero l’assoluta uguaglianza reciproca sotto ogni profilo giuridico. Quando nel 1991 l’Urss cessò d’esistere come realtà geopolitica e soggetto di diritto internazionale, nessun Paese legittimò la Federazione Russa a identificarsi in essa, ereditandone i diritti acquisiti. Mosca sfruttò la Dichiarazione di Almaty con cui nel 1991 i leader dei Paesi della neonata Csi ne sostennero l’ammissione all’Onu, per presentarla al Consiglio di sicurezza presieduto allora da Yulii Vorontsov (ex ambasciatore russo), che diede luogo a un unicum nella Storia conferendo a Mosca il diritto di veto acquisito dall’Urss. Mai più si ripeté un evento simile: nel 1992, alla disgregazione della Cecoslovacchia, Repubblica Ceca e Slovacchia avanzarono richieste distinte. Così fu nello stesso anno per l’ex Jugoslavia, quando Bosnia ed Erzegovina, Slovenia, Repubblica di Croazia e Repubblica federale di Jugoslavia seguirono iter separati. Persino la Repubblica Cinese, membro fondatore dell’Onu, nel processo di transizione a Repubblica Popolare Cinese impiegò 20 anni per esser nuovamente riconosciuta in tale sede   di Giorgio Provinciali

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