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Voci dal fronte

Abbiamo raccolto alcune testimonianze sul campo dal fronte Nord ucraino: “Nessuno vuole i loro territori ma è un nostro dovere difendere i nostri”

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Abbiamo raccolto alcune testimonianze sul campo dal fronte Nord ucraino: “Nessuno vuole i loro territori ma è un nostro dovere difendere i nostri”

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Abbiamo raccolto alcune testimonianze sul campo dal fronte Nord ucraino: “Nessuno vuole i loro territori ma è un nostro dovere difendere i nostri”

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Abbiamo raccolto alcune testimonianze sul campo dal fronte Nord ucraino: “Nessuno vuole i loro territori ma è un nostro dovere difendere i nostri”

Fronte Nord – Com’era facilmente immaginabile, oltre al parziale riposizionamento della 810ª brigata russa di cui scrissi due giorni fa, Mosca sta trasferendo parte del proprio contingente militare dai territori occupati delle regioni di Kherson e Zaporizhzhia a Kursk. Su quest’ultimo versante l’Ucraina avanza tuttavia al ritmo d’una quarantina di chilometri quadrati al giorno, tanto da controllare a oggi un’ottantina d’insediamenti.

Di conseguenza, dato che oltre ad allentare la presa russa su quelle regioni meridionali dell’Ucraina verso cui le ЗСУ potrebbero presto tornare a premere, tali disposizioni si stanno rivelando insufficienti a contenere l’avanzata gialloblù in Russia, come ha osservato il ministro della Difesa lituano Kasčiūnas nel corso della sua visita a Kyiv, a Mosca hanno inoltre disposto il trasferimento verso Kursk di migliaia di militari stanziati a Kaliningrad, mettendo così ulteriormente a nudo le debolezze e i limiti della strategia del Cremlino.

Da canto loro, le autorità militari dell’oblast’ di Sumy hanno imposto il divieto d’accesso lungo tutto il confine con quella di Kursk creando una fascia protetta profonda almeno 20 km da cui transitano uomini e mezzi verso la Russia ma anche decine di camion carichi di prigionieri in senso opposto. In appena una settimana i soldati russi ad aver alzato bandiera bianca aderendo al programma ucraino “Хочу жити” (voglio vivere, ndr) sono stati infatti circa 2mila, di cui molti hanno manifestato anche l’intenzione d’unirsi a quelle legioni di partigiani che intendono liberare la Russia dal regime dittatoriale di Putin. Sul versante opposto, di quei 160mila civili russi a cui il proprio stesso esercito sta bombardando le case per respingere l’avanzata ucraina, le autorità di Mosca stanno disponendo il trasferimento nei territori occupati dell’Ucraina illegalmente annessi alla Federazione Russa.

Procedendo verso Ovest lungo il confine con la Bielorussia s’osserva un progressivo accrescimento del contingente militare ucraino in risposta allo schieramento di blindati disposto nelle scorse ore da Lukashenko. In previsione del giorno dell’indipendenza ucraina, che verrà celebrato fra dieci giorni, da queste parti ci si prepara alla rappresaglia serrando i ranghi e rimanendo uniti, perché la minaccia potrebbe arrivare anche da lì.

Alcuni civili hanno deciso di lasciare temporaneamente le zone di confine e il centro delle grandi città per spostarsi nella propria dacia in periferia o nelle zone occidentali del Paese mentre altri – moltissimi – scongiurano il pericolo trascorrendo più tempo nei luoghi pubblici più protetti.

Osservando l’evolversi di questa situazione estremamente fluida, che vede centinaia di migliaia di persone spostarsi come descritto, in attesa degli ordini di pochi, è stato interessante parlare con alcuni soldati ucraini tornati dal fronte Nord. Come impone il protocollo militare, hanno accettato di farlo a patto che ne venga riportato solo nome e grado. «Siamo andati a fare manualmente quel che poteva esser fatto dai missili. Trenta mesi sono 900 giorni. Per tutto quel tempo abbiamo aspettato l’ordine più sensato di tutti, cioè di poter rispondere al fuoco nemico usando le armi occidentali. Abbiamo tenuto per due anni e mezzo nel mirino quelle postazioni da cui i russi ci massacravano sparandoci contro ogni tipo di munizione, senza poter fare nulla mentre vedevamo radere al suolo tutte le nostre città lungo il confine con la Russia. Quando abbiamo ricevuto l’ordine d’invaderla non potevamo credere alle nostre orecchie. Abbiamo esultato e siamo partiti carichi a mille. Nessuno vuole i loro territori ma è un nostro dovere difendere i nostri» confida Oleksandr, artigliere travolto da una raffica di schegge sul fianco destro.

«Sono tutti concordi nel riaffermare il nostro diritto a difenderci sparando anche in territorio russo ma questo diritto sacrosanto sembra valere solo se usiamo le nostre armi. Non s’è mai vista una guerra in cui l’aggredito non può sparare contro le posizioni da cui l’aggressore lo tiene sotto tiro» sottolinea Petia, che prima della guerra era avvocato e oggi è carrista, concludendo che «all’Occidente servirà ancora altro sangue ucraino ma la decisione di sollevare il veto sull’uso di Storm Shadow, Scalp, Atacms – e possibilmente Taurus – in territorio russo sicuramente arriverà. Probabilmente sarà una conseguenza della ritorsione russa al nostro sconfinamento, perché ogni conquista va pagata col sangue».

Il concetto ribadito dalla maggior parte dei ragazzi intervistati è sempre quello: a nessuno di loro sarebbe mai venuto in mente d’andare in Russia ma è stata l’unica scelta possibile per difendere la propria casa e il proprio Paese. Concetto sottolineato peraltro nelle scorse ore anche dai senatori americani Lindsey Graham (repubblicano) e Richard Blumenthal (democratico), nel corso della loro sesta visita a Kyiv: «È stata una mossa tanto fulminea quanto geniale. L’unica possibile per sbloccare una situazione assurda venutasi a creare a causa dell’imposizione di veti insensati sull’uso delle armi occidentali.

Per questo, al nostro rientro negli States sottoporremo al presidente Biden la richiesta di sollevare ogni restrizione, permettendo a questi ragazzi di vincere anche per noi». Rimarcando come l’Ucraina sia una vera e propria miniera d’oro di materie prime e terre rare – del valore d’oltre 100 trilioni di dollari – entrambi i senatori hanno rimarcato inoltre quanto quanto una vittoria ucraina sia maledettamente utile proprio a Stati Uniti e Unione europea, per poter finalmente concludere affari con un partner affidabile anziché con la Cina.

Più in generale, dal campo emerge il timore che – sebbene gli alleati abbiano benedetto la prima incursione militare su suolo russo dalla Seconda guerra mondiale – essi possano compiere un passo falso simile a quello che impedì a Kyiv di chiudere la partita nel corso della grande controffensiva del 2022, limitandone nuovamente le forniture d’armi nel momento più critico o chiedendo ai suoi soldati di combattere ancora una volta con una mano legata dietro la schiena.

di Giorgio Provinciali

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