Dalla Dichiarazione di New York una via possibile per la pace israelo-palestinese
Ha avuto poco rilievo sulla stampa la scelta compiuta dagli Stati della Lega Araba di sottoscrivere la dichiarazione di New York
Dalla Dichiarazione di New York una via possibile per la pace israelo-palestinese
Ha avuto poco rilievo sulla stampa la scelta compiuta dagli Stati della Lega Araba di sottoscrivere la dichiarazione di New York
Dalla Dichiarazione di New York una via possibile per la pace israelo-palestinese
Ha avuto poco rilievo sulla stampa la scelta compiuta dagli Stati della Lega Araba di sottoscrivere la dichiarazione di New York
Ha avuto poco rilievo sulla stampa, ma può essere invece un evento fondamentale, la scelta compiuta dagli Stati della Lega Araba di sottoscrivere, con molti altri Paesi, il documento uscito dalla conferenza di New York del 28-30 luglio. A partire dal quale si potrebbe forse andare verso una svolta decisiva.
A fronte della tragedia immane che si consuma nella guerra di Gaza, sempre più evidente risulta che la via d’uscita non può che muovere da una premessa: la scelta di entrambe le parti – quella arabo-palestinese e quella israeliana – di cercare una via per la pace, necessariamente fondata sul riconoscimento reciproco. Finché l’una o l’ altra o entrambe rifiutano questa prospettiva, non c’è speranza. Finora la strada è rimasta sbarrata in primo luogo dalla mai scalfita determinazione di Hamas, che fa della distruzione di Israele la propria ragion d’essere come obbligo religioso prima ancora che politico e che il 7 ottobre ha dato la dimostrazione di come intenda farlo, ossia sterminando gli israeliani. Ciò a cui Israele non poteva non rispondere, cercando di neutralizzare la capacità di Hamas di agire militarmente; ma purtroppo non ha saputo o potuto o voluto farlo evitando la catastrofe umana che ne è derivata.
A determinare un ulteriore pesante ostacolo si aggiunge oggi la scelta, votata dalla Knesset su impulso delle correnti fondamentaliste, di stabilire come obiettivo di Israele il proprio dominio sull’intera terra di Palestina, anche in questo caso per contrapposto diritto divino. In un tale contesto non pare possa dare un contributo positivo la decisione assunta o in via di essere adottata da molti Paesi di riconoscere lo Stato di Palestina, ad oggi non esistente, senza che esso annunci di riconoscere Israele e dia garanzie che non mirerà ad annientarlo.
Per contro, ragioni di speranza offre il fatto nuovo che anche gli Stati membri della Lega Araba, nell’ambito della recente Dichiarazione di New York, insieme a molti altri Stati si siano fatti co-promotori di una soluzione di pace che – a partire dalla condanna della strage del 7 ottobre – comporti la liberazione degli ostaggi, l’eliminazione del potere di Hamas su Gaza, il controllo della Striscia (demilitarizzata) da parte dell’Anp con il supporto di forze degli Stati arabi, la creazione di un unico Stato palestinese democratico non dominato da Hamas, accanto a quello di Israele e sulla base di un definitivo riconoscimento reciproco, dell’impegno di entrambi gli Stati a promuovere una cultura della mutua accettazione e del principio “terra in cambio di pace”, ponendo fine al sistema delle occupazioni illegali. Purché questa scelta non comporti più la richiesta del ‘diritto al ritorno’ dei discendenti dei profughi del 1948 (che equivarrebbe in altra forma alla cancellazione di Israele), si tratta di una svolta storica che può portare alla fine di quello che – lungo quasi un secolo – è stato per Israele un conflitto più che con la Palestina con il mondo arabo nel suo insieme, il quale ora dichiara di accettare di coesistere in pace con lo Stato ebraico. Una svolta che può consentire di interrompere le sofferenze della gente di Palestina, conseguenti alla guerra voluta da Hamas.
Si tratta naturalmente di un percorso tutto da conquistare e costruire, ove lo si accetti e lo si voglia. Qui può e deve esserci lo spazio per movimenti e iniziative dell’opinione pubblica, in Israele e nel mondo arabo. Ma anche, e quanto, nell’Occidente democratico e in Italia, per liberarsi delle suggestioni che spingono in realtà alla guerra – quelle che invocano la Palestina “dal fiume al mare” tutta per un solo Stato – e per sostenere invece l’avvio di un processo di pace. A questo, per parte sua, Europa Radicale intende operare e contribuire, per quello che può e sa.
di Lorenzo Strik Lievers e Igor Boni, Europa Radicale
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- Tag: esteri
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