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Difficile tregua a Gaza

Gli Stati Uniti rilanciano con forza una proposta di accordo per fermare la guerra nella Striscia di Gaza, mentre l’obiettivo d’Israele è quello imprescindibile di sciogliere Hamas

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Difficile tregua a Gaza

Gli Stati Uniti rilanciano con forza una proposta di accordo per fermare la guerra nella Striscia di Gaza, mentre l’obiettivo d’Israele è quello imprescindibile di sciogliere Hamas

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Difficile tregua a Gaza

Gli Stati Uniti rilanciano con forza una proposta di accordo per fermare la guerra nella Striscia di Gaza, mentre l’obiettivo d’Israele è quello imprescindibile di sciogliere Hamas

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Gli Stati Uniti rilanciano con forza una proposta di accordo per fermare la guerra nella Striscia di Gaza, mentre l’obiettivo d’Israele è quello imprescindibile di sciogliere Hamas

Freschi del – temporaneo – fallimento del molo artificiale per gli aiuti, distrutto non da droni o esplosioni bensì dalle mareggiate (la realtà ha sempre una sua ironia), gli Stati Uniti hanno rilanciato con forza una proposta di accordo per fermare la guerra nella Striscia di Gaza. Una piattaforma per il cessate il fuoco fortemente ricalcata sulla proposta identica che Hamas aveva approvato al Cairo il 5 maggio scorso, come ammesso apertamente da un alto funzionario dell’amministrazione Usa. Washington non è solita adottare documenti proposti da organizzazioni terroristiche, ma la necessità di una tregua è così grande da far prevalere la realpolitik su ogni remora. Il diritto alla sopravvivenza dei civili come stella polare e il resto di conseguenza. Il problema è che quella del 5 maggio fu una proposta prettamente propagandistica da parte di Hamas, approvata in maniera unilaterale e a ridosso dell’entrata a Rafah dei carri armati israeliani. Un motu proprio in cui alcune richieste sono massimaliste e irricevibili per Gerusalemme. Il massacro di civili nella tendopoli di Tel al-Sultan sembra però aver generato una nuova pressione diplomatica che ha reso il primo ministro Benjamin Netanyahu più aperto alla possibilità di una interruzione dei combattimenti, anche se un accordo rimane difficile. Il perché è presto detto: l’obiettivo d’Israele, stabilito con chiarezza sin dall’inizio della reazione all’invasione e all’eccidio scatenato dai gazei contro il loro vicino, è quello imprescindibile di sciogliere Hamas. Inutile discutere se fattibile o meno, quando la superiorità militare israeliana è tanto palese. Più della metà degli edifici della Striscia sono stati danneggiati o distrutti proprio per ottenere questo risultato e, nonostante lo scetticismo di molti analisti, ricostruire Gaza senza Hamas sembra un obiettivo plausibile (al netto dei distopici piani di ‘cisgiordanizzazione’ della Striscia che circolano).

Tuttavia nell’altro campo è ancora Hamas a comandare, desiderosa invece di superare questa ennesima guerra come le altre contro Israele. Yahya Sinwar, la mente dietro il pogrom del 7 ottobre, ha quindi come obiettivo minimo la sopravvivenza. Così Netanyahu è propenso ad accettare qualsiasi idea di tregua a patto che sia temporanea e Sinwar ammette invece soltanto la prospettiva di una tregua permanente. Il destino degli ostaggi sopravvissuti (peraltro l’unico potere contrattuale rimasto ad Hamas) è legato a queste priorità del tutto opposte. L’auspicio è che le bombe smettano di cadere almeno per qualche giorno, ma la strada per ottenere questo risultato resta accidentata. Il falco dell’ultradestra israeliana Itamar Ben-Gvir ha dichiarato che potrebbe lasciare il governo se il piano venisse accettato, mentre alti ufficiali vicini a Netanyahu giudicano molto basse le probabilità che Sinwar sia comunque interessato a un accordo come quello del Cairo, rappresentante com’è della fazione più oltranzista di Hamas. Intanto anche il fronte Nord d’Israele continua a bruciare: l’area attorno Kiryat Shmona è letteralmente in fiamme per i razzi lanciati oltreconfine da Hezbollah. Nella percezione di Gerusalemme un intervento delle Forze armate israeliane in Libano non è più una questione di se ma di quando.

Di Camillo Bosco

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