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Usa, il dietrofront sul diritto all’aborto non è un buon segnale

L’aborto negli Usa alla 24esima settimana è un diritto acquisito nel 1973. Il fatto che oggi se ne ritorni a discutere (probabilmente ribaltando la sentenza) non è un buon segnale. E non solo oltre Oceano.

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Usa, il dietrofront sul diritto all’aborto non è un buon segnale

L’aborto negli Usa alla 24esima settimana è un diritto acquisito nel 1973. Il fatto che oggi se ne ritorni a discutere (probabilmente ribaltando la sentenza) non è un buon segnale. E non solo oltre Oceano.

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Usa, il dietrofront sul diritto all’aborto non è un buon segnale

L’aborto negli Usa alla 24esima settimana è un diritto acquisito nel 1973. Il fatto che oggi se ne ritorni a discutere (probabilmente ribaltando la sentenza) non è un buon segnale. E non solo oltre Oceano.

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L’aborto negli Usa alla 24esima settimana è un diritto acquisito nel 1973. Il fatto che oggi se ne ritorni a discutere (probabilmente ribaltando la sentenza) non è un buon segnale. E non solo oltre Oceano.

La decisione definitiva è attesa per il prossimo giugno ma la bozza del parere della Corte suprema è già circolata, e tanto basta per scatenare dibattiti e polemiche. Il tema è storicamente uno di quelli più delicati – il diritto all’aborto – e il fatto che se ne torni a discutere negli Stati Uniti sicuramente merita una riflessione. Negli Usa la possibilità di interrompere la gravidanza è garantita a livello federale da una sentenza del 1973 conosciuta come “Roe v. Wade”, ribadita poi da ulteriori sentenze successive. Di fatto l’aborto è consentito fino al momento in cui il feto può sopravvivere da solo, indicativamente intorno alla 24esima settimana.

Questo a livello federale, ma a mettere in discussione quanto finora dato per assodato è il Mississippi che chiede venga riconosciuta la sua legge che impedisce invece di abortire dopo la 15esima settimana. Spetta alla Corte suprema pronunciarsi quindi sulla possibilità di ciascuno Stato di decidere in autonomia sulla questione. In sostanza, se la sentenza del 1973 venisse ribaltata non ci sarebbe più un cappello federale che uniformi i comportamenti sulla materia. Questo significa che le aree della nazione più conservatrici potrebbero decidere di votare leggi ben più restrittive.

Secondo la bozza circolata in queste ore, l’orientamento della Corte suprema sarebbe proprio quello di lasciare che siano i diversi Stati a stabilire se e fino a quando l’accesso all’interruzione di gravidanza sia possibile. Ovvero, come si legge nella bozza trapelata, «dare ascolto alla Costituzione e restituire la questione dell’aborto ai rappresentanti eletti del popolo».

Il tema è spinoso e controverso, lo sappiamo, e non solo negli Stati Uniti. Resta il fatto che una discussione aperta su un diritto che viene dato per acquisito ha il sapore di un ritorno al passato. Secondo un sondaggio realizzato da Associated Press tra l’altro quasi il 70% degli americani sarebbe contrario a una modifica dell’attuale norma.

Alla fine, ma così funziona negli Usa, toccherà a nove uomini e donne decidere se l’interruzione di gravidanza resterà garantita a livello federale oppure no. E la maggioranza dell’attuale Corte suprema è conservatrice, quindi è plausibile che ciò che pare sia scritto nella bozza trapelata sia effettivamente l’indirizzo verso cui si muovono i giudici. Potrebbe però pesare anche proprio il fatto che questa indiscrezione sia fuoriuscita quasi un mese prima della decisione definitiva, con tutto il tempo quindi di scatenare dibattiti e polemiche. Ma d’altronde è pur vero che vi sono diverse anime ed enormi differenze fra i diversi Stati americani.

Sicuramente il tema dell’aborto è una delle storiche battaglie che vede su barricate contrapposte conservatori e progressisti. Fare però dietrofront su un diritto dato per acquisito non è mai un bel segnale. Non è un caso che sia subito intervenuto Biden per sottolineare come «il diritto della donna di scegliere» sia fondamentale. Parole che immaginiamo avranno un certo peso.

  di Annalisa Grandi

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