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Drone sulla mensa

Un drone di Hezbollah ha colpito la mensa del comando della 1ª Brigata di fanteria “Golani”, uccidendo quattro soldati mentre erano impegnati nella cena

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Un drone di Hezbollah ha colpito la mensa del comando della 1ª Brigata di fanteria “Golani”, uccidendo quattro soldati mentre erano impegnati nella cena

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Un drone di Hezbollah ha colpito la mensa del comando della 1ª Brigata di fanteria “Golani”, uccidendo quattro soldati mentre erano impegnati nella cena

Un drone di Hezbollah ha colpito la mensa del comando della 1ª Brigata di fanteria “Golani”, uccidendo quattro soldati e ferendone dozzine mentre erano impegnati nella cena. Sono stati i sergenti Alon Amitai, Yosef Haiv, Yoav Agmon e Omri Tamri a perdere la vita in un attacco che ha sorpreso gli israeliani stessi, eludendo le difese antiaeree. Probabilmente i suprematisti sciiti libanesi sono riusciti a far scivolare il drone tra le centinaia di razzi con cui attaccano il Nord di Israele ogni giorno: anche mentre scriviamo, la metà dei cittadini israeliani è costretta a mettersi al riparo per colpa di attacchi di un’entità terroristica di cui i generali israeliani stimano di aver distrutto due terzi dell’arsenale. L’intensità di questi ultimi attacchi potrebbe essere quindi parte di una zampata disperata attuata con gli ordigni rimasti, oppure la prova che quei calcoli sono troppo ottimistici.

Nel secondo caso non sarebbe l’unica svista di Israele in questa guerra sul fronte Nord, visto che Palazzo Chigi ha tenuto a far sapere che la presidente Giorgia Meloni non è stata morbida col suo omologo israeliano Benjamin Netanyahu. La chiamata di quest’ultimo per distendere le tensioni dopo i ripetuti attacchi del suo esercito alla missione Onu nel Sud del Libano, chiamata Unifil, pare abbia trovato un governo italiano irritato e severo all’altro capo della cornetta. Non si tratta di una mera “vibrata protesta”, visto che la Penisola esporta infatti milioni di euro in armi e munizioni per le necessità belliche di Gerusalemme e, soprattutto, esprime un voto all’Onu che è stato spesso proclive alle esigenze israeliane.

Non si capisce quindi quale calcolo abbia convinto Netanyahu a voler peggiorare la controversa reputazione israeliana. Per quattro giorni consecutivi Tsáhal, l’Armata di difesa d’Israele, ha interagito violentemente contro l’Unifil. Nell’ultimo incidente due carri armati Merkava hanno persino sfondato l’ingresso principale della base di Ramyah alle 4 e mezza di notte, cercando di costringere la guarnigione di caschi blu a spegnere le luci della base. Gli israeliani si sono ritirati soltanto in seguito a una protesta tramite i canali ufficiali, ma circa due ore dopo un intenso tiro di fumogeni a 100 metri dalla posizione (lanciati probabilmente per ottenere comunque lo smorzamento delle luci) ha intossicato una quindicina di soldati del contingente ghanese.

Davanti alle telecamere del Tg1 Daniel Hagari – contrammiraglio e portavoce capo di Tsáhal – ha riconosciuto gli errori e promesso che non avverranno più situazioni simili. Nadav Shoshani, tenente colonnello e portavoce di Tsáhal per l’ambito internazionale, ha però precisato ai giornalisti di La7 che in una guerra non è mai possibile garantire una sicurezza totale e che «sarebbe meglio se i caschi blu si spostassero». In effetti un arretramento della missione era stato richiesto da Gerusalemme sin dai primi giorni, venendo rifiutato dall’Unifil perché costringerebbe i caschi blu a lasciare il Paese dei Cedri a causa della mancanza di ripari adeguati. I recenti incidenti sono quindi sembrati una manovra goffa per innalzare oltremisura il prezzo dello stazionamento dei peacekeeper, visti dagli israeliani con sufficienza e disprezzo.

Tuttavia con l’attacco del drone alla “Golani” Hezbollah ha dimostrato che la sua pericolosità si manifesta a prescindere dalla presenza dei 10mila soldati Onu, che invece potrebbero essere molto utili a Gerusalemme per gestire un dopoguerra Iran free in Libano. Se il fallimento della missione Unifil legata alla risoluzione Onu 1701 del 2006 è ormai conclamato forse la causa è da ricercare nel multiconfessionalismo libanese degenerato in settarismo a suon di guerre civili e cattive influenze dei vicini, piuttosto che in una forza di peacekeeping.

di Camillo Bosco

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