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Elezioni Putin

Perché Putin organizza le elezioni?

La domanda non è quanto siano affidabili le elezioni russe, ma perché Putin organizzi le elezioni, cosa lo spinga a farlo

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Perché Putin organizza le elezioni?

La domanda non è quanto siano affidabili le elezioni russe, ma perché Putin organizzi le elezioni, cosa lo spinga a farlo

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Perché Putin organizza le elezioni?

La domanda non è quanto siano affidabili le elezioni russe, ma perché Putin organizzi le elezioni, cosa lo spinga a farlo

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La domanda non è quanto siano affidabili le elezioni russe, ma perché Putin organizzi le elezioni, cosa lo spinga a farlo

La domanda non è quanto siano affidabili le urne russe, posto che nelle prossime ore resteranno aperte, fino a domenica, per le elezioni. La risposta sarebbe semplice: non sono affidabili, sono una pagliacciata, con gli oppositori che vengono ammazzati, carcerati o costretti a fuggire all’estero. La domanda da porsi è: posto che le elezioni russe sono una truffa, posto che Putin è e resterà il dittatore che uccide e fa uccidere chi non si genuflette (siamo al quarto decesso improvviso solo alla Lukoil), perché organizza le elezioni? Cosa lo spinge a imitare il costume delle democrazie? Nella risposta c’è la riluttanza, se non il rifiuto, del nostro mondo – quello delle democrazie occidentali – a riconoscere le nostre vittorie. I nostri trionfi.

Il crollo dell’Unione Sovietica fu un nostro trionfo. Noi abbiamo festeggiato e non siamo stati per nulla condolenti per il lutto che aveva colpito Putin e tutti gli altri funzionari della dittatura. L’impero che si proponeva di insegnarci la prosperità, lo sviluppo e la giustizia crollava nella miseria, mostrava l’incapacità ed era costretto ad ammettere d’avere perseguitato gli uomini liberi. Quel nostro trionfo aprì una stagione di nostre affermazioni che hanno portato una enorme fortuna ai più poveri e dimenticati nel mondo. Dal 1990, nell’era che è stata intestata alla globalizzazione, moltitudini di morti di fame si sono affrancate da quella condizione. Contrariamente a quel che si dice, nel mondo le distanze fra ricchi e poveri si sono accorciate. E anche dove enormi ricchezze si sono concentrate – nella nostra parte del mondo, quella che era ricca già prima del 1990 – i meno ricchi hanno comunque avuto accesso a una maggiore quantità di merci a basso costo. Il fatto che, negli Stati Uniti, siano cresciuti giganti del digitale è una ulteriore dimostrazione che il mondo della globalizzazione, il suo straordinario sviluppo, era un nostro trionfo.

Come tutte le cose, anche quelle molto positive hanno innescato scompensi e contraddizioni. Si sono trovate in maggiore difficoltà non soltanto fasce di reddito ma anche occupazioni che hanno trovato una concorrenza nuova, scivolando indietro e spaventandosi. Certo che è successo. Come anche che un numero maggiore di umani si è messo in moto ed è cresciuto il malanno dell’immigrazione irregolare. Ma nel raccontare i nostri guasti stiamo bene attenti a non cancellare la nostra forza: andate a passare una sera dove si ritrovano i giovani a Pechino (come in tutta quell’area e come nella stessa Russia) e li vedrete uguali – nei vestiti, nella musica, nei gesti – ai nostri giovani. E lo sono perché il nostro costume ha vinto. E ha vinto perché era più forte, più ambito perché migliore. Gli immigrati di seconda generazione, quelli che riesumano i costumi ancestrali, si trovano da noi, perché i loro coetanei nei Paesi natii vogliono essere come i nostri giovani e non come le loro nonne intabarrate, vogliono sentire la musica che suona dalle nostre parti, non divenire virtuosi del chitarrino monocorde. Se un pericolo abbiamo corso non è quello d’essere sopraffatti, come andavano dicendo i contrabbandieri delle paure, ma di esagerare nel sopraffare con il fascino del nostro mondo. In fondo quel chitarrino fa parte della storia e non va affatto cancellato.

Il mondo è diventato più ricco con i commerci e le delocalizzazioni, la cui regolazione e contrattualistica sono figlie del nostro diritto commerciale. Gli scambi sono contabilizzabili perché si usa la stessa unità di misura monetaria: la nostra. Con più o meno difficoltà si è potuto comunicare in ogni pizzo del mondo, perché si è usata la stessa lingua: la nostra.

Queste cose non ce le siamo dette. Non con la dovuta chiarezza. Ed è a queste cose che Putin ha dichiarato guerra – negando pure di star facendo la guerra – nel febbraio del 2022. Il mondo del nostro trionfo è alle nostre spalle perché il perdente della Storia spara per non spararsi. Allora, torniamo alla domanda: perché organizza la pagliacciata delle elezioni, invece di continuare a fare il dittatore senza messinscena? Perché nel nostro trionfo è compreso il fatto che le elezioni sono divenute la sola forma di legittimazione del potere. Abbiamo talmente vinto da essere riusciti a cancellare i diritti divini e di sangue, lasciando come accettabili soltanto quelli umani e individuali. Ecco perché si aprono le urne russe, che sono un tributo alla nostra vittoria.

Ora il mondo cambia e noi non dobbiamo commettere l’errore di volere solo conservare quello che neanche eravamo disposti a riconoscere come una nostra vittoria. Altri nemici della libertà e del benessere hanno preso corpo. Teniamone conto quando a votare saremo noi, in democrazie vere e non in buffonate moscovite.

di Davide Giacalone

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