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L’Europa e l’Occidente ci hanno reso ricchi. Un po’ di cifre

Si accusa l’Europa del suo stesso successo, e su fa leva sulla paura. Dell’immigrato, della perdita dei riferimenti culturali e del decadimento economico

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L’Europa e l’Occidente ci hanno reso ricchi. Un po’ di cifre

Si accusa l’Europa del suo stesso successo, e su fa leva sulla paura. Dell’immigrato, della perdita dei riferimenti culturali e del decadimento economico

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L’Europa e l’Occidente ci hanno reso ricchi. Un po’ di cifre

Si accusa l’Europa del suo stesso successo, e su fa leva sulla paura. Dell’immigrato, della perdita dei riferimenti culturali e del decadimento economico

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Si accusa l’Europa del suo stesso successo, e su fa leva sulla paura. Dell’immigrato, della perdita dei riferimenti culturali e del decadimento economico

Oggi voglio scrivere dell’antieuropeismo più grossolano. Il meccanismo è banale ma efficace: si fa leva su un vaga nostalgia di un’età dell’oro, si favoleggia di quando i singoli Paesi – liberi dalle costrizioni dell’Europa matrigna – potevano esprimere liberamente il proprio potenziale socioeconomico.

Una balla, se pensiamo che quella stessa ricchezza mitizzata e spacciata come una Camelot preda della perfida Commissione Ue fu figlia proprio del processo intrapreso all’indomani delle devastazioni della seconda guerra mondiale.

In estrema sintesi, si accusa l’Europa del suo stesso successo, e si fa leva sulla paura. Dell’immigrato, della perdita dei riferimenti culturali e del decadimento economico. Per smontare questo castello abbiamo già invitato a fare una cosa molto semplice: chiedere ai nostri figli se preferiscano la loro vita libera da confini e vincoli o gli incubi distopici delle dittature.
Oggi aggiungiamo un po’ di dati su cosa eravamo prima dell’era di pace e prosperità favorita dall’appartenenza al blocco occidentale e dalla progressiva integrazione in una comunità economica, finanziaria e politica.

Nel 1950 – sette anni prima dell’atto costitutivo della Cee firmato a Roma – in Italia l’aspettativa di vita era di 65 anni contro gli 82 di oggi, per un aumento del 26%. Il consumo calorico medio per persona è passato da 2300 a 3600 kcal. Il Pil pro capite nel 1960 (Comunità appena nata) era di 9731 dollari annui a parità di potere d’acquisto con il 2023, quando era di 34.088 e un aumento del 250%. La mortalità infantile (decessi sotto 1 anno ogni 1.000 nati) è diminuita del 95%, passando da 60 su 1000 del dopoguerra a 3 su 1000 di oggi.
Nel 1950, una famiglia su dieci possedeva un frigorifero. Nel 2020 tutte. Non avere in casa un televisore è segno distintivo per chi vuole fare l’alternativo. Quando la Tv arrivò in Italia, nel 1954, era semplicemente un sogno. A inizio anni Cinquanta c’erano 5 auto ogni 1000 abitanti, oggi 670 con un aumento del 13.300%. All’indomani della guerra, persone con un titolo di studio superiore erano il 5% del totale, oggi il 62% (anche se in Italia siamo ancora indietro rispetto alla media europea dei laureati). Lavoriamo il 32% di ore in meno di allora. Quanto alle differenze di carattere sociale, non vale neppure la pena sottolinearle.

Dovremmo cominciare ogni giornata con un pensiero di ringraziamento ai nostri nonni, che seppero sfruttare la pace e le opportunità del nostro mondo. In tanti, invece, arrivano a sputarci sopra, sostenendo teorie oltre il ridicolo.

Negando la realtà, come se le visioni degli uomini fossero pari fra loro: quelle di chi scommise sulla pace, la fratellanza nella concorrenza operosa, il libero scambio e la libera circolazione di persone e cose e di chi sognava i libretti rossi e il “paradiso dei lavoratori” (nei gulag).
No, non furono pari manco per niente e la realtà delle cifre va ricordata a chi offende la memoria dei nostri nonni e padri.

di Fulvio Giuliani

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