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Una guerra alla frontiera impone di rafforzare la difesa ricordando che la forza delle democrazie è sapere che non c’è altra via che la libertà

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Una guerra alla frontiera impone di rafforzare la difesa ricordando che la forza delle democrazie è sapere che non c’è altra via che la libertà

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Una guerra alla frontiera impone di rafforzare la difesa ricordando che la forza delle democrazie è sapere che non c’è altra via che la libertà

Avere la guerra alla frontiera è già una condizione che impone di rafforzare la difesa. Quella guerra è stata scatenata da chi non passa giorno non ricordi di potere aggredire anche casa nostra, evocando l’uso delle armi nucleari. Il che impone non soltanto di prepararsi alla difesa, ma di renderlo chiaro all’opinione pubblica. La forza delle dittature è il minacciare di morte per mandare a morire. La forza delle democrazie è sapere che non c’è prosperità senza libertà.

Il presidente francese Emmanuel Macron prima e il segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin dopo hanno detto cose evidenti, rispetto alle quali non ha senso far finta di niente: 1. non può essere esclusa la partecipazione Nato alla difesa dell’Ucraina; 2. se l’Ucraina dovesse perdere, il passo successivo sarebbe una guerra diretta fra la Russia e la Nato. Ne consegue che le sorti dell’Ucraina sono le nostre stesse sorti e che la guerra oggi alla frontiera potremmo trovarcela dentro casa. Questa è la realtà che cambia radicalmente lo scenario politico europeo.

E sarebbe un peccato, un impoverimento della democrazia, se arrivassimo fino al voto europeo senza che chi chiede i voti illustri le sue idee in merito e chi dà il voto lo faccia senza tenerne conto. Promettere o inseguire il sussidio, la protezione o la rendita è parte del gioco democratico (benché non la migliore), ma se siamo ricchi, sani e longevi lo dobbiamo al fatto che il nostro lavoro si svolge in sicurezza, preservando la libertà. Pensare di conservare la ricchezza cedendo sicurezza e libertà non è solo miserabile: è un tragico fraintendimento.

Molta parte del nostro dibattito politico, in Italia come nel resto dell’Unione europea, è rimasta alla puntata precedente: sovranisti contro europeisti; protezionisti contro mercatisti; separazionisti contro federalisti; chiusisti contro aperturisti. Con ragioni e torti, sebbene gli uni abbiano ecceduto nel raccontare balle sulle gioie del serrarsi in casa e gli altri abbiano esagerato nello scantonare i brutti problemi attaccandosi alle belle parole. Tutta questa roba è passata in second’ordine il 24 febbraio 2022, perché la faglia s’è aperta su altre contrapposizioni: con l’Ucraina o con Putin; con l’atlantismo o per l’equidistanza. Le seconde opzioni sono ammantate di falsissimo pacifismo, così come di quel manto si vestivano i comunisti che rifiutavano i missili nucleari occidentali dopo avere plaudito quelli sovietici.

Se si sceglie la seconda strada, oltre a pregare non resta che negoziare un ruolo subordinato e servile verso l’imperialismo russo, mettendosi nella condizione in cui si trovò mezza Europa dopo Yalta, quando non poté sfuggire al dominio sovietico. Quell’Europa che rimase povera, mentre da noi la ricchezza e il benessere crescevano. Se si sceglie la prima strada non c’è altra conseguenza che la difesa integrata europea. E quelli che fanno osservare la sua inutilità, perché tanto tutto dipenderà dalle elezioni statunitensi di fine anno, si allineano a quanti escludono che l’Unione europea possa mai divenire adulta e lasciarsi alle spalle gli equilibri immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale. Le elezioni americane saranno importantissime, ma comunque vadano l’Ue deve essere in grado di camminare da sé. Fosse anche per difendersi oggi e ritrovarsi domani.

Ma se si imbocca quella prima strada non avrà nessuna importanza che questa o quella forza politica, questo o quel presunto leader siano stati – fino a ieri mattina – contro l’euro e lamentosamente contrari a ogni maggiore cessione di sovranità in ambito europeo, perché imboccandola avranno scelto la più radicale e piena delle integrazioni: la difesa e la politica estera. Cui far seguire gli strumenti finanziari per realizzarla.

Sarebbe un vero peccato se si sprecasse l’occasione delle elezioni europee – che sono vere, non fasulle pagliacciate come quelle di Putin – per ragionare della partita vera, preferendo tenere unito il gregge elettorale con fischi sempre meno udibili e significativi.

di Davide Giacalone

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