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Evacuano Rafah

Evacuano Rafah

Per Netanyahu l’opzione militare resta ancora la via maestra per lo smantellamento dell’organizzazione estremistica palestinese

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Per Netanyahu l’opzione militare resta ancora la via maestra per lo smantellamento dell’organizzazione estremistica palestinese

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Per Netanyahu l’opzione militare resta ancora la via maestra per lo smantellamento dell’organizzazione estremistica palestinese

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Per Netanyahu l’opzione militare resta ancora la via maestra per lo smantellamento dell’organizzazione estremistica palestinese

Hamas ha approvato ieri una proposta di cessate il fuoco. C’è un problema: a quanto pare, non è stata avanzata da Israele bensì dall’Egitto; inoltre Hamas l’avrebbe accettata inserendo una clausola (che mentre scriviamo non si conosce ancora nei dettagli) che probabilmente verrà considerata irricevibile dal governo di Benjamin Netanyahu, per il quale l’opzione militare resta ancora la via maestra per lo smantellamento dell’organizzazione estremistica palestinese. Se questo scenario venisse confermato assisteremmo all’ennesimo fallimento di un accordo per una tregua in cambio del rilascio degli ostaggi israeliani, condannando quel che rimane di Gaza a un’ennesima ondata di violenza.

Questa trattiva peraltro è già stata compromessa ieri dal lancio di più di 10 razzi da parte di Hamas contro i militari israeliani stanziati presso il kibbutz “Kerem Shalom” (Vigneti della Pace) e anche dai precedenti bombardamenti effettuati da Israele. Le Forze di difesa israeliane hanno comunque ordinato ufficialmente l’evacuazione della parte più orientale di Rafah, contrassegnata dai riquadri 270, 28 e da 10 a 16. Sono numeri che dicono poco a chi non si trova lì, ma essenziali ai profughi per avere una possibilità di sopravvivenza. Mesi fa l’esercito di Gerusalemme ha infatti distribuito una mappa che divide la Striscia di Gaza in migliaia di micro-aree, per poter comunicare ai civili quelle più a rischio. Quasi 35mila morti dopo, l’efficacia di tale misura è stata messa in dubbio più e più volte, ma rimane l’unica speranza a cui possano aggrapparsi gli abitanti per non venire travolti da una battaglia che sembra imminente.

L’idea è di far spostare i non combattenti verso i campi di tende approntati da Israele a Khan Yunis, nelle aree già liberate dal controllo di Hamas. La forza d’attacco della 62esima Divisione “HaPlada” (Acciaio), composta dalla 401esima Brigata corazzata “I’kvot ha-Barzel” (Cingoli d’acciaio) e dalla 933esima Brigata di fanteria “Nahal” (acronimo per No’ar Halutzi Lohem, Gioventù militare e pioniera), incombe a meno di 2 chilometri a Est del checkpoint “Kerem Shalom” (situato vicino al kibbutz omonimo) fra Israele e Gaza. Anche se le dimensioni delle unità militari variano di nazione in nazione e sono spesso coperte da segreto, la Divisione “HaPlada” dovrebbe contare per la prossima offensiva su un totale di 8-10mila soldati e su circa 80 carri armati Merkava.

Si tratterebbe delle forze iniziali, supportate dalla 98esima Divisione di paracadutisti “Ha-Esh” (Fuoco) che invece aspetta a 20 chilometri di distanza. L’unità si trova nella base militare di Tze’elim, famosa per essere dotata di uno dei più grandi centri di addestramento – Baladia City – per le battaglie in un contesto urbano di stampo mediorientale. Secondo le indiscrezioni il Comando israeliano voleva destinare ancora più forze, ma le preoccupazioni statunitensi riguardo le vittime civili hanno indotto Gerusalemme a escludere due brigate (la 551esima e la 460esima) in favore di un attacco più chirurgico.

I gazei si sono quindi rimessi in marcia – chi a piedi, chi in auto, chi a dorso di mulo – per raggiungere le tende nelle nuove aree per i profughi. Disillusi e stremati, alcuni inevitabilmente rimarranno nella zona delle operazioni anche per paura che gli israeliani filtrino i maschi in età militare per interrogarli. «Le persone non hanno dove andare, nessuna area è sicura» si sfoga con i giornalisti di “Reuters” il ventitreenne Mohammad Al Najjar, attualmente nella parte di occidentale di Rafah con la sua famiglia. «Tutto ciò che resta per Gaza è la morte».

Di Camillo Bosco

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