Il rapporto Opec del novembre 2021 riferisce che, malgrado i suoi problemi interni, la Libia è ridiventata il primo produttore di petrolio dell’Africa davanti alla Nigeria – e l’Eni in tutti questi anni è sempre rimasta sul terreno. Malgrado il suo revival petrolifero, gli «sbarchi continui» di migranti partiti dalla Libia in Italia «rendono la situazione insostenibile», ha ricordato Mario Draghi alla Conferenza di Parigi.
Petrolio e migranti, ma non solo, sono i temi su cui è nata una inedita triplice alleanza tra Germania, Francia e Italia per condurre la mediazione in base alla quale anche le fazioni libiche si sono messe d’accordo, accettando le elezioni che il 24 dicembre dovrebbero ricompattare il Paese.
Attenzione, però, che all’asse Roma-Berlino-Parigi si contrappone sempre l’altro asse inedito Mosca-Ankara. In realtà neanche poi tanto inedito, visto che ad esempio Putin e Erdoğan sono entrambi attivi sostenitori del venezuelano Maduro. In teoria, i due in Libia stavano su fronti opposti: il turco sostenendo il governo della Tripolitania, con truppe e miliziani siriani; il russo appoggiando invece il generale Haftar in Cirenaica, attraverso i mercenari della Wagner.
In pratica, come in Siria, con la loro apparente contrapposizione finivano però per saldare sul Paese quel controllo a due che ora Draghi, Macron e Angela Merkel (e i di lei successori) intendono spezzare, anche per conto di Washington.
Putin invece sì, forse perché nello scontro con i turchi Haftar ha finito per avere la peggio. Fermato sul campo, quest’ultimo intende però riprovarci sul terreno elettorale. Affronterà Saif al-Islam Gheddafi, figlio sopravvissuto del defunto dittatore, che domenica è stato il primo a presentare formalmente la propria candidatura presidenziale. Haftar starebbe anche per cambiare sponsor: dopo essere stato via via un generale di Gheddafi, un uomo degli Usa, un signore della guerra sostenuto da Francia, Russia, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Qatar, adesso ha mandato il figlio Samuel in Israele, a contrattare un appoggio in cambio di una adesione anche della Libia al modello degli ‘accordi di Abramo’.
Nel documento finale della conferenza, i leader presenti esprimono «pieno sostegno alla piena applicazione del ‘cessate il fuoco’ del 23 ottobre del 2020». A febbraio la formazione del nuovo governo ad interim in Libia aveva messo fine all’esistenza dei due governi diversi che l’uno in Tripolitania, l’altro in Cirenaica si erano combattuti per anni, fino alla sconfitta di Haftar in seguito all’intervento turco.
Proprio questa evoluzione ha però spinto Roma e Parigi a superare vecchie contrapposizioni, per evitare che tra i due litiganti a godere fosse Erdoğan.
Di Maurizio Stefanini
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