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Fuggita per dare voce al dissenso

La testimonianza i Ksenia Thorstrom, la consigliera del Municipio di San Pietroburgo che ha dato vita alla petizione per cacciare Vladimir Putin.
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Fuggita per dare voce al dissenso

La testimonianza i Ksenia Thorstrom, la consigliera del Municipio di San Pietroburgo che ha dato vita alla petizione per cacciare Vladimir Putin.
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La testimonianza i Ksenia Thorstrom, la consigliera del Municipio di San Pietroburgo che ha dato vita alla petizione per cacciare Vladimir Putin.
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La testimonianza i Ksenia Thorstrom, la consigliera del Municipio di San Pietroburgo che ha dato vita alla petizione per cacciare Vladimir Putin.
Ksenia Thorstrom non è solo una consigliera del Municipio di San Pietroburgo. Ksenia è “la” consigliera, colei che con un coraggio da leoni – insieme ad altri 200 amministratori della città che ogni 9 maggio, per celebrare la giornata della vittoria sul nazismo, torna a chiamarsi Leningrado – ha dato vita alla petizione per mandare a casa Vladimir Putin. Duecento firmatari possono sembrare pochi ma in un Paese dove si va in carcere per l’uso della parola “guerra” costituiscono invece un fatto politico di assoluto rilievo. «Dopo aver studiato il linguaggio da utilizzare per non screditare l’autorità del presidente (e per cui si rischia l’arresto) ne abbiamo chiesto l’impeachment. La sua politica sta danneggiando tutto il popolo russo» ci dice al telefono dalla Finlandia, dove ha raggiunto alcuni parenti. «Sono venuta qui perché designata dagli altri colleghi come portavoce di questo messaggio: non tutti i russi appoggiano Putin! Abbiamo voglia che lo sappiate, il popolo è stanco di subire i soprusi dello zar. Siamo in tanti a volere le sue dimissioni, pur consapevoli che questo documento avrà un valore puramente simbolico dato che sono soltanto i rappresentati della Duma a poter portare avanti un’azione simile. Ma non importa, lo dobbiamo a chi è finito in carcere per sostenere questa battaglia». Compagni di lotta come Alexei Gorenov, anch’egli firmatario della petizione e una delle prime vittime della “legge bavaglio” emanata ad hoc subito dopo l’invasione dell’Ucraina. È stato infatti condannato a 7 anni di prigione per aver chiamato l’operazione speciale con il suo vero nome – “guerra” – e per aver chiesto la sospensione dei festeggiamenti nelle scuole russe quale segno di rispetto verso i bambini ucraini caduti sotto i bombardamenti. Subito dopo è toccato a Dimitry Poluga, del distretto di Smolnensky, che è stato il primo fra tutti ad aver chiesto le dimissioni di Putin per alto tradimento. Lo ha fatto, però, con le parole ‘sbagliate’. Anche Ksenia sta pagando il suo fio, sa bene che non potrà più tornare a casa fino a quando a Mosca non cadrà il regime. «Mia mamma è ancora lì e come tutti i russi di una certa età s’informa solo tramite la tv di Stato, dove le raccontano che stiamo salvando gli ucraini dai nazisti. Le fanno credere che l’Occidente voglia schiacciare la Grande madre Russia. Per fortuna non tutti ci cascano e sono felice che molte persone siano scese in piazza per protestare, soprattutto dopo la richiesta di Putin di arruolare 300mila riservisti». Le chiediamo quale sia il pensiero di sua madre quando vede la polizia trascinare via uomini e donne solo perché manifestano il proprio pensiero. «È convinta che si tratti di persone pagate appositamente dall’Occidente per creare scompiglio e indebolire la grande Russia» ci spiega con una commozione a tratti sconsolata che fa tenerezza. Sarebbero insomma dei figuranti, come in un grande “Truman Show”. Se la propaganda dà i suoi frutti, la politica del terrore fa il resto. Quindi non ci sorprende sapere che tutti i russi alle dipendenze dello Stato siano stati ‘caldamente’ invitati (leggasi: obbligati) a scendere in piazza per dimostrare il loro appoggio alla politica di Putin. Nel frattempo Ksenia ci conferma che gli effetti delle sanzioni, al contrario di quel che prova a raccontare da noi qualche trombone filoputiniano, si vedono eccome: «Non si trovano più medicinali importanti, molte persone hanno perso il lavoro dopo la chiusura delle multinazionali, i prezzi dei beni (soprattutto quelli di prima necessità) sono cresciuti a dismisura». Il popolo è nervoso, Putin è sempre più nervoso. E solo. I da-men di cui si circonda cominciano ora a dire qualche niet e il dittatore sente iniziare a sgretolarsi le fondamenta della sua piramide di potere. Quando non scompaiono “misteriosamente”, generali e collaboratori si danno alla macchia, fuggono all’estero e parlano. Proprio l’altro giorno gli Stati Uniti hanno annunciato che daranno asilo ai russi che intendono scappare dal regime. «Arriverà anche il nostro momento, si tratta solo di pazientare» conclude Ksenia, col cuore pesante di chi non smetterà di lottare per la libertà. Di Ilaria Cuzzolin

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