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Gavin Newsom e la politica dei meme

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Il caso del governatore della California e il tentativo dei democratici di emulare la guerriglia memetica trumpiana

Gavin Newsom e la politica dei meme

Il caso del governatore della California e il tentativo dei democratici di emulare la guerriglia memetica trumpiana

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Gavin Newsom e la politica dei meme

Il caso del governatore della California e il tentativo dei democratici di emulare la guerriglia memetica trumpiana

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Dal 2016 a oggi uno dei tratti più distinguibili del mondo Maga è stato il ricorso al meme. Questo elemento non solo caratterizza la comunicazione politica del trumpismo (una costante sia prima che dopo la presa del potere), ma ha generato quella che i sociologi statunitensi hanno definito “guerriglia memetica”: l’utilizzo del meme da parte di una frangia politica per fare proselitismo online e condizionare l’agenda politica del proprio partito di riferimento.

È anche grazie alla guerriglia memetica se il Partito repubblicano è passato negli ultimi anni dalla destra istituzionale al radicalismo che strizza l’occhio agli ambienti neonazisti che popolano i forum di Internet (l’esempio è quello di QAnon). Il fenomeno non si limita ai militanti. Dall’inizio del suo secondo mandato Donald Trump ha adottato questo particolare registro ed è per questo che i canali social della Casa Bianca e degli altri enti governativi sono oggi sommersi da immagini fatte con l’intelligenza artificiale, deliri scritti interamente in maiuscolo e riedizioni filo-trumpiane dei format più virali sul web.

Le conseguenze sul dibattito politico sono sotto gli occhi di tutti. Pur non trattandosi di una novità, il Partito democratico non è mai riuscito (o non ha mai voluto) prendere sul serio la questione e ha cercato piuttosto di mantenere un approccio classico allo scontro politico. Almeno fino a questo momento. Dall’insediamento della nuova amministrazione Trump, i democratici (tolta l’area radicale del duo Sanders-Ocasio Cortez) sono stati preda di un immobilismo plateale e nell’arco di questi mesi nessuna personalità progressista è riuscita ad attirare l’attenzione dell’elettorato. L’unica eccezione è il governatore della California Gavin Newsom.

Salito alle cronache dopo i fatti di Los Angeles dello scorso giugno – quando è andato in contrasto con il presidente per il ricorso all’esercito contro i manifestanti – Newsom ha cambiato tattica: sui social scrive e parla come Trump, nelle interviste propone una visione pragmatica ma più muscolare dell’agenda democratica e grazie a una miriade di profili satelliti gestiti dai suoi sostenitori rilancia i meme che lo vedono protagonista, spesso e volentieri contro un Trump debole e incapace.

L’esperimento è degno di interesse. La natura parodistica di questa operazione comunicativa è palese: i trumpiani si indignano, attaccando spesso la natura «infantile e autoreferenziale» di questi contenuti (la maggior parte di loro continua a non rendersi conto che sta descrivendo il proprio leader). Tuttavia, non mancano i problemi.

Per quanto la natura ironica di Newsom sia palese, negli ambienti democratici l’idea di combattere ad armi pari con i trumpiani inizia ad avanzare e il rischio di involgarire un dibattito che sembra avere già toccato il fondo potrebbe avere conseguenze disastrose. Nel 2016 Trump era ancora l’outsider supportato in Rete dal sottobosco online ma retto da una parte ancora consistente dell’apparato repubblicano dell’epoca; nove anni dopo quell’apparato è stato sostituito dai guerriglieri memetici che oggi ricoprono le più alte cariche governative.

Una fonte vicina al governatore ha commentato così il suo cambio di registro: «Per troppo tempo i democratici sono rimasti in disparte, troppo spaventati di sbagliare per sferrare un colpo. Questo approccio dovrebbe dare la carica alla gente per entrare nella lotta». Ma la trumpizzazione dei democratici potrebbe rivelarsi il colpo di grazia agli Stati Uniti.

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