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Gaza e il dramma dei civili

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Saremmo disumani se non ci turbassero le tribolazioni dei palestinesi della Striscia di Gaza

Gaza e il dramma dei civili

Saremmo disumani se non ci turbassero le tribolazioni dei palestinesi della Striscia di Gaza

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Gaza e il dramma dei civili

Saremmo disumani se non ci turbassero le tribolazioni dei palestinesi della Striscia di Gaza

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Una poesia di John Donne contiene un verso che Ernest Hemingway riportò all’inizio del romanzo “Per chi suona la campana”: «Ogni morte di uomo mi diminuisce / perché io partecipo dell’umanità». È il sentimento che tutti dovremmo provare quando ci imbattiamo nelle tragedie che seminano morte, dolore, distruzione in qualsiasi angolo di quell’atomo opaco che ha nome Terra.

Ovviamente, nel mondo della comunicazione assistiamo in tempo reale ai massacri della fase storica in cui viviamo. Saremmo disumani se non ci turbassero le tribolazioni dei palestinesi della Striscia di Gaza come il supplizio a cui è sottoposta da più di 1.200 giorni la popolazione civile dell’Ucraina aggredita dalla Russia. A mio avviso, i media sono più sobri nel raccontare questa guerra rispetto a quella che si combatte nel Medio Oriente. Nelle immagini che ci vengono presentate non si è mai visto il cadavere di un bambino ucraino, mentre si assiste a una particolare cura nella contabilità di queste morti nel caso della Striscia.

Se ci commuovono le cose che accadono nel nostro tempo (mediate sotto i nostri occhi dalle riprese televisive), non ci è precluso di riflettere su tragedie intervenute in altre epoche, in occasione di altri conflitti. Da bambino durante la Seconda guerra mondiale rimasi molto impressionato dal racconto del bombardamento anglo-americano sulla città di Dresda. Fu un’azione particolarmente spietata, priva di valore strategico perché colà non vi erano obiettivi militari. Proprio per questo motivo si erano rifugiati in quella città migliaia di profughi provenienti da altre zone, nella speranza di sfuggire alle incursioni aeree che avevano già devastato le più importanti città tedesche. Il bombardamento avvenne pochi mesi prima della resa della Germania e fu consapevolmente indirizzato contro la popolazione civile, con tonnellate di bombe anche incendiarie che colpirono a più riprese i civili nei rifugi.

Poco più che ventenne partecipai a un pellegrinaggio nei lager distribuiti in Austria, tra i quali il famigerato campo di Mauthausen; mi resi conto, in base alla loro dislocazione nel territorio, che i civili non potevano non sapere. Il che divenne una certezza quando, anni dopo, visitai il campo di sterminio di Buchenwald che si trovava in mezzo a una foresta di betulle a pochi km da Weimar, la città dei grandi filosofi tedeschi. Ebbi allora la conferma che non si poteva parlare di civili innocenti. Così il sentimento di pietas si attenuò, perché compresi che persino il più spietato dei regimi totalitari non è in grado di organizzare la ‘soluzione finale’ per milioni di persone – loro sì innocenti – se non può contare su di un’ampia e radicata condivisione dei disvalori che persegue.

Il nazismo ha rappresentato una sorta di ‘rivoluzione industriale’ dell’antisemitismo, una maledizione che ha attraversato – magari con forme più artigianali – secoli di storia e che è riemersa di nuovo dal 7 ottobre in poi. Ecco perché non mi sento – come per i tedeschi durante il nazismo – di definire “civili innocenti” i palestinesi della Striscia di Gaza. Sono loro che hanno consegnato (o non sono stati in grado di impedirlo) il potere ad Hamas, che hanno consentito di farsi derubare delle risorse messe a loro disposizione dalle istituzioni internazionali, usate dai terroristi per costruire una città sotterranea da armare contro Israele. Come i tedeschi condividevano i misfatti del nazismo, i gazawi non sono estranei ma conniventi con l’ideologia di Hamas. Se i bambini, le donne e i vecchi nella Striscia vengono usati come ‘scudi umani’ e muoiono durante le azioni militari non si può chiamare a risponderne soltanto Idf.

di Giuliano Cazzola

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