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Georgia, i giovani manifestano a favore dell’Ue e contro l’invadenza russa

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Le bandiere blu con le stelle gialle sventolano accanto a quelle rosse e bianche della Georgia come promemoria quotidiano. I sondaggi lo confermano: il 79% dei cittadini vuole l’adesione all’Unione Europea. Ma il governo ha virato verso Mosca

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Georgia, i giovani manifestano a favore dell’Ue e contro l’invadenza russa

Le bandiere blu con le stelle gialle sventolano accanto a quelle rosse e bianche della Georgia come promemoria quotidiano. I sondaggi lo confermano: il 79% dei cittadini vuole l’adesione all’Unione Europea. Ma il governo ha virato verso Mosca

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Georgia, i giovani manifestano a favore dell’Ue e contro l’invadenza russa

Le bandiere blu con le stelle gialle sventolano accanto a quelle rosse e bianche della Georgia come promemoria quotidiano. I sondaggi lo confermano: il 79% dei cittadini vuole l’adesione all’Unione Europea. Ma il governo ha virato verso Mosca

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TbilisiBasta unirsi a un free walking tour per accorgersi che raccontare la storia non basta. Nika, mentre guida i visitatori tra leggende e palazzi, parla anche del presente: «Sono oltre 280 giorni che vengo qui, in piazza, a manifestare contro Sogno Georgiano». Non ha paura di dirlo, nonostante abbia sperimentato la repressione del governo filorusso.

Arrestato, picchiato, condannato a una multa da mille euro – in un Paese dove lo stipendio medio è meno di 500 – continua a scendere in piazza. La sua non è una storia isolata. «Siamo già a oltre 250 giorni consecutivi di proteste» racconta. La democrazia in Georgia evapora fra censure ai media, fondi occidentali bloccati, tribunali corrotti. «Hanno persino approvato una legge che permette arresti preventivi, se pensano che potresti commettere un crimine. È così che cercano di spaventare la gente. Ma non funziona: ogni giorno ci siamo ancora, con le bandiere europee e ucraine in mano».

In piazza incontriamo anche Gizo: «Non protestano solo studenti. Ci sono insegnanti, medici, operai. Abbiamo in comune la memoria del nostro passato e la volontà di essere europei». Le sue parole ricordano le ferite ancora aperte: il 20% del territorio resta occupato dalla Russia, Abkhazia e Ossezia del Sud sono zone fantasma dal 2008, mentre i ‘confini mobili’ tagliano villaggi in due. «Ogni bandiera europea che portiamo in piazza è una dichiarazione: vogliamo libertà, non colonialismo».

Dopo trecento giorni le manifestazioni non possono però essere sempre oceaniche. Davanti al Parlamento si radunano circa duecento persone. Sono sparse, molte con il volto coperto da cappucci e mascherine. «Le telecamere a riconoscimento facciale sono ovunque» ci dicono. Eppure, fra quei volti capita di incontrare qualcuno che parla italiano. È Nesta. La repressione ha un prezzo altissimo. Le multe ai manifestanti arrivano fino a 5.000 lari (circa 1.700 euro), più di un salario annuale. «Ho già due multe, ma non pagherò mai» ci dice Nesta, che manifesta da oltre 260 giorni. «Sono tornata dalle montagne e la gente non ha soldi nemmeno per il cibo. I prezzi aumentano, le pensioni non bastano. Ma vinceremo noi». La sua voce s’incrina ma non trema: «Non saremo mai parte della Russia».

Le bandiere blu con le stelle gialle sventolano accanto a quelle rosse e bianche della Georgia come promemoria quotidiano. I sondaggi lo confermano: il 79% dei cittadini vuole l’adesione all’Unione Europea. Ma il governo ha virato verso Mosca, stringendo legami con Iran e Cina e rischiando di perdere perfino il regime di visti liberi con Bruxelles. Intanto oltre sessanta oppositori sono già in carcere, accusati di crimini mai commessi. È una ‘resistenza turistica’, perché la incontri camminando da visitatore tra vicoli e palazzi sovietici. Ma è molto di più: è il grido di un popolo che non accetta di essere trascinato indietro. «Se nel 2008 l’Occidente avesse risposto con fermezza all’invasione russa, oggi non ci sarebbe stata l’Ucraina invasa» avverte Nika. «E se non fermiamo Mosca adesso, domani potrebbe toccare i Baltici o la Polonia».

Tra i caffè hipster e i grattacieli incompiuti, la protesta non si ferma. Giorno dopo giorno, bandiera dopo bandiera, i georgiani difendono la loro idea di futuro: un futuro europeo. Il banco di prova è oggi, giorno delle elezioni locali. Un appuntamento che, in un clima segnato da arresti e repressione, rischia di diventare il termometro della democrazia georgiana.

di Giulio Albano

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