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Guai per la Disney dopo le accuse della nipote di Walt

Un docufilm firmato da Abigail Disney mostra l’altra faccia della fiabesca società: “C’è una dolorosa ironia nel fatto che qualcuno che lavora nel posto più felice della terra debba dormire in auto”.
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Guai per la Disney dopo le accuse della nipote di Walt

Un docufilm firmato da Abigail Disney mostra l’altra faccia della fiabesca società: “C’è una dolorosa ironia nel fatto che qualcuno che lavora nel posto più felice della terra debba dormire in auto”.
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Guai per la Disney dopo le accuse della nipote di Walt

Un docufilm firmato da Abigail Disney mostra l’altra faccia della fiabesca società: “C’è una dolorosa ironia nel fatto che qualcuno che lavora nel posto più felice della terra debba dormire in auto”.
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Un docufilm firmato da Abigail Disney mostra l’altra faccia della fiabesca società: “C’è una dolorosa ironia nel fatto che qualcuno che lavora nel posto più felice della terra debba dormire in auto”.
C’è un castello incantato in cui tutti i sogni diventano realtà, in cui gli animali parlano, gli amori durano per sempre, i buoni vincono sui cattivi e i valori autentici della vita trovano ascolto. Quel posto è la Disney Corporation, un impero che ha dettato i dogmi dell’immaginario occidentale, insegnando al mondo ciò che è ‘giusto’ e ‘sbagliato’. Fa specie, quindi, che una diretta discendente di questa enorme macchina immaginifica -ed economica- quale è Abigail Disney abbia sentito l’esigenza di dar voce ai suoi dipendenti e alle loro condizioni di lavoro tutt’altro che fiabesche. Ne è nato un documentario The American Dream and Other Fairy Tales” (“Il sogno americano e altre favole”) debuttato al Sundance Film Festival – festival del cinema indipendente di Park City, nello stato dello Utah- e diretto dalla stessa Abigal e da Kathleen Hughes. Abigail Disney, come da lei stessa dichiarato, utilizza il caso della società fondata da suo nonno Roy e dal fratello Walt Disney – dove nessuno più della famiglia detiene delle quote- per spiegare le disuguaglianze sociali e le disparità salariali negli Stati Uniti. I riflettori sono puntati soprattutto sui dipendenti dei parchi a tema sparsi in tutto il mondo pagati con “stipendi da fame” e costretti a scegliere tra il cibo e i medicinali a causa di salari insufficienti a rimanere al di sopra della soglia della povertà. Un sondaggio indica che 1 su 10 è rimasto senza casa negli ultimi due anni e due terzi non possono permettersi di pagare il cibo. E non basta nascondersi dietro delle maschere disneyane per non pensarci. C’è una dolorosa ironia nel fatto che qualcuno che lavora nel ‘posto più felice della terra’ dorma in macchina”, racconta Abigal.

La corsa al profitto della Disney dagli anni ’80

Ripercorrendo la storia della sua famiglia, Abigal Disney traccia le tappe della storia sociale ed economica americana constatandone le ipocrisie e il passaggio repentino da una cultura capitalista e paternalista ad una vera e propria oligarchia nascosta sotto il velo di quel’ “American dreamNegli anni ‘60 la Disney non era neanche lontanamente diversificata e strutturata come lo è oggi: era stato inaugurato nel 1955 il primo parco a tema e il principale profitto proveniva dai cartoni animati. Nessuna licenza acquisita (come le attuali Pixar, Luca’s Film, Marvel), nessun resort, nessun merchandising. Gli anni ‘80 segnano la svolta verso logiche di profitto sempre più aggressive che troveranno il loro culmine nell’era “Bob Iger”, amministratore delegato dal 2005 al 2015. Se Roy Disney nel 1967 guadagnava 78 volte la paga del suo lavoratore più basso, con il CEO Iger si avvicina a quasi 2.000 volte in più.

Il “sogno americano” che non esiste più

Per Abigal, presente nel docufilm in prima persona, si tratta di un fallimento politico e morale che ha contribuito a creare un gap tra megaricchi e megapoveri trasformando l’America delle infinite possibilità ad un territorio biforcato in cui si può essere o preda o cacciatore. “È doloroso e mi ci è voluto molto tempo per comprendere appieno il ruolo che la mia famiglia … ha giocato nel perpetuare miti e storie secolari che hanno fatto sembrare questo sistema razzista perfettamente naturale e completamente benigno”. Di sicuro Abigal Disney ha ereditato dal nonno la capacità di semplificare la realtà: il docufilm risulta semplice e scorrevole, seppur amaro. Molti hanno osservato in questo accanimento una velata calunnia, forse un risentimento, per non essere più la famiglia Disney al centro degli affari nonostante il peso del suo cognome (il CEO attuale, dal 25 febbraio 2020, è Bob Chapeck). Nessuna risposta diretta dalla Disney, che ha comunque in programma di aumentare dal 2023 le paghe dei lavoratori del parco dagli attuali 15 a 18 dollari). Quel che è certo è che la Disney non può slegarsi dai valori che da anni trasmette a tutte le generazioni: onestà, correttezza, equità.  Sono sempre loro che vanno dicendo in giro che “il sogno realtà diverrà”.  Ma il sogno di chi?   di Raffaela Mercurio  

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