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guerra fredda

La guerra fredda del III millennio

In questo scenario da guerra fredda, dobbiamo avere più paura della Russia di Vladimir Putin che dell’Urss di Breznev, Andropov e Chernenko?
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La guerra fredda del III millennio

In questo scenario da guerra fredda, dobbiamo avere più paura della Russia di Vladimir Putin che dell’Urss di Breznev, Andropov e Chernenko?
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La guerra fredda del III millennio

In questo scenario da guerra fredda, dobbiamo avere più paura della Russia di Vladimir Putin che dell’Urss di Breznev, Andropov e Chernenko?
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In questo scenario da guerra fredda, dobbiamo avere più paura della Russia di Vladimir Putin che dell’Urss di Breznev, Andropov e Chernenko?
È incredibile porsi la domanda che vi faremo fra poche righe, ricordando il mondo in cui la mia generazione è nata – dominato dal terrore della guerra nucleare, all’apice della guerra fredda, etc. – e lo shock meraviglioso della fine (presunta, ahinoi) della contrapposizione fra i blocchi seguita al crollo rovinoso dell’Unione sovietica. Ecco la domanda, allora: “Dobbiamo avere più paura della Russia di Vladimir Putin che dell’Urss di Breznev, Andropov e Chernenko?”. Fino a pochi anni fa anche solo porre un quesito del genere sarebbe apparso lunare, pur dopo aver abbandonato il sogno dell’inclusione della Russia nel novero delle nazioni liberaldemocratiche. Obiettivo che per una brevissima stagione era apparso persino possibile, prima che il morbo della corruzione e lo sfacelo della società trasformassero quello che era stato propagandato come il “paradiso dei lavoratori” in un incubo di corruzione in mano a una ristrettissima oligarchia dalle ricchezze impressionanti. Anche quando il decadimento politico e sociale del Paese era apparso irreversibile, ci eravamo tutti acconciati a un’idea di convivenza basata su affari, compromessi e convenienze reciproche. Eravamo convinti di dare troppi denari allo zar, perché quest’ultimo osasse rivoltarsi contro chi lo ricopriva di soldi. Avevamo clamorosamente sbagliato i calcoli e da due anni esatti sono gli ucraini a pagarne un prezzo intollerabile. Anche i russi, naturalmente, tenuti in ostaggio da un potere dispotico che sembra essersi ormai limitato a sostituire la falce e il martello con gli emblemi nazionalisti e zaristi. Guardate il volto in foto: è la vedova di Alexei Navalny, nessuno più di lei ci impone di farci le domande più scomode. La risposta, dunque? Non è neppure necessaria, nel momento in cui ci rendiamo conto che il quesito è tutt’altro che lunare. Basta questo ad alimentare i nostri timori e a costringerci a prendere contatto con la realtà. Non solo perché nella Russia in mano alla cricca di Putin si è ripetutamente adombrato l’uso dell’arma atomica, ma perché gli ultimi mesi e il destino riservato a chiunque osasse opporsi a Putin hanno certificato che siamo in presenza di uno Stato canaglia. Per essere più precisi, di un sistema di potere canaglia. Come definire altrimenti chi ricorre con regolarità all’omicidio politico, curandosi ormai solo relativamente persino di coprire tracce ed evidenze? Come potremmo mai pensare di trattare con simili soggetti se non sulla base di una deterrenza militare? Il che inevitabilmente ci riporterà a delle forme – aggiornate – di “equilibrio del terrore“, ma pur sempre basate sulla minaccia dell’uso della forza. Considerazioni sconfortanti, ce ne rendiamo conto, ma realiste. Fautori dell’appeseament con Putin non mancheranno di sicuro – c’erano con Hitler, figurarsi con lo zar – ma siamo ragionevolmente certi che ancora una volta le democrazie sapranno fare ciò che è più giusto, oltre che necessario alla loro sopravvivenza. di Fulvio Giuliani 

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