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Cosa ci racconta l’arresto di Hamdan Ballal regista premio Oscar di “No Other Land”

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Arrestato il regista di Hamdan Ballal premio Oscar 2025 per “No Other Land” (Miglior documentario)

Cosa ci racconta l’arresto di Hamdan Ballal regista premio Oscar di “No Other Land”

Arrestato il regista di Hamdan Ballal premio Oscar 2025 per “No Other Land” (Miglior documentario)

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Cosa ci racconta l’arresto di Hamdan Ballal regista premio Oscar di “No Other Land”

Arrestato il regista di Hamdan Ballal premio Oscar 2025 per “No Other Land” (Miglior documentario)

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Arrestato il regista di Hamdal Ballal premio Oscar 2025 per “No Other Land” (Miglior documentario). L’arresto è avvenuto per mano dei soldati israeliani, mentre l’uomo veniva portato via in ambulanza dopo essere stato aggredito, ferito alla testa con il lancio di una pietra, lo hanno fermato e arrestato. Non si sa dove si trovi al momento e in quale stato di salute. Il documentario – che è un’opera realizzata da un gruppo di quattro giovani attivisti palestinesi e israeliani che hanno ritirato la statuetta al Dolby Theatre di Los Angeles lo scorso 3 marzo – aveva acceso una luce di speranza sulla libertà di espressione nei teatri di guerra.

No Other Land” di Hamdan Ballal racconta le esperienze quotidiane dei palestinesi che vivono l’occupazione, mettendo sotto i riflettori le ingiustizie subite e gli espropri di terre da parte dell’esercito israeliano. Nello specifico si tratta della documentazione, giorno dopo giorno, dell’abbattimento della comunità di Masafer Yatta in Cisgiordania. Quanto rischio c’è ad esporsi in questo modo? Quello che oggi è diventato cronaca è qualcosa che era già scritto in quel documentario che mette in mostra la vita in modo brutale, schietto, indocile.

Pareva strano che un premio così importante riuscisse a mettere a tacere la censura su alcune tematiche, pareva anomalo che si potesse collaborare nel rivelare le dinamiche di conflitto, mettendo insieme le anime e la loro fratellanza pur in un contesto di grave divergenza. Abbiamo vissuto per un momento il miraggio dell’unità tra la più aspra contesa. Ma l’incantesimo è finito. Se l’arresto fosse maturato per motivi di censura, Israele rischia di somigliare sempre di più ai regimi che reclamano la sua distruzione e sta abdicando in modo preoccupante ai suoi principi democratici. Ma nelle democrazie non si arrestano gli artisti per le loro opinioni.  

La cronaca si intreccia alla narrazione, il cinema si fa portavoce di un servizio che pare spalancare le porte laddove ci sono invece cancelli sprangati senza possibilità della minima fenditura, e ancora ha lo straordinario compito di disturbare dittatori, oligarchi, fanatici e guerrafondai di ogni specie. L’arresto, avvenuto dopo il linciaggio da parte dei coloni israeliani, ha amplificato l’attenzione mediatica nei confronti di questo eroico film che pone l’accento sull’importanza del lavoro che svolgono i cineasti capaci di denunciare le ingiurie verso i diritti umani.

Siamo di fronte alla più totale depressione, dove l’arte apre degli spiragli, dove gli sforzi e il coraggio delle persone capaci del vero si uniscono per un’idea di equità e corrispondenza, assistiamo ancora alla più brutale lapidazione del pensiero e della vita. Il pubblico, insieme alla critica di tutto il mondo (da quando il documentario è stato presentato al 74esimo Festiva di Berlino vincendo il Premio del Pubblico) gioiva per questo risultato: dove precludono l’uguaglianza, gli artisti si battono per raccontare il desiderio di intesa, di tregua, di unione. Quella statuetta, quella vittoria, l’impegno e la collaborazione di autori di entrambe le parti del conflitto, coraggiosamente uniti, aveva un valore simbolico forse mai raggiunto prima, ma oggi tutto questo è stato preso a pietrate, è stato ferito a sangue. Ancora terrore, crudeltà, ribrezzo. 

di Hilary Tiscione

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