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I cinque gennaio dell’Ucraina

La Zar Putin ha diversi scenari possibili per proseguire lo showdown sul confine ucraino: di questi, cinque sono i più probabili.
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Si avvicina Natale, e dopo verrà Gennaio. Il fango si andrà a ghiacciare e la terra sarà abbastanza compatta perché i pesanti carri russi T-90 “Vladimir” (così chiamati in omaggio al loro defunto progettista Vladimir Potkin) possano dilagare sulle pianure ucraine. Cosa può fare quindi Putin all’inizio del prossimo anno?

Davanti allo Zar si stagliano cinque alternative per iniziare il 2022 tenendo saldamente in mano lo scettro di autocrate più notiziabile dell’infosfera. Come supposto dall’analista George Barros, la prima alternativa è quella della grande distrazione: Mosca minaccia l’Ucraina per annettere senza tanti clamori la Bielorussia di Lukashenka, già alacremente al lavoro per la ricostituzione dell’Unione Sovietica, a giudicare dai trattati che ha firmato di recente. Mirare alla testa col martello per poi colpire il piede quindi, e di che ci potremmo lamentare? Zoppicheremmo soltanto, mica saremmo morti.

La seconda alternativa, quotata alta tra alcuni analisti italiani, è invadere l’Est dell’Ucraina per creare quel tanto desiderato corridoio di terra tra il Donbass e la Crimea, per arrivare alla penisola senza essere limitati al solo ponte costruito dal magnate Arkadij Rotenberg; in quelle zone già decine di migliaia di persone hanno il passaporto russo e, con il ridimensionamento permanente dell’Ucraina, Mosca otterrebbe un confine strategicamente sicuro.

La terza alternativa, la più terribile, è quella dell’invasione totale: mentre le divisioni sul Don tengono impegnate il grosso delle truppe nemiche, dal Nord quelle russe stanziate per esercitazioni congiunte con i bielorussi calerebbero su Kiev sancendo la fine dell’Ucraina come entità statuale indipendente, magari tramutata in oblast a statuto speciale come tanti altri della grande Federazione russa.

La quarta alternativa è una variante della precedente: una blitzkrieg fulminante seguita da un ritiro ordinato per soddisfare le sicure proteste internazionali, lasciando però come eredità un governo asservito ai vincitori che renderebbe per decenni il Paese uno Stato fantoccio piegato alla linea di Mosca.

Vi è poi la quinta e ultima alternativa: non fare niente, e magari ritirare pure le truppe nelle caserme; in fondo, l’Occidente sta mostrando i denti e minaccia sanzioni umilianti che colpirebbero a fondo il sistema finanziario russo.

Finora a Putin è andata bene su scenari periferici, ma la realtà è che nessuno sa che vaso di Pandora si potrebbe aprire se l’Unione europea si sentisse minacciata davvero dall’orso russo: per una eterogenesi dei fini, tutta la tattica russa anti Nato potrebbe provocare la nascita di un qualcosa di più pericoloso, cioè un’Europa militarizzata e belligerante; e se il mondo è migliorato in questi ultimi decenni è proprio perché gli europei hanno deciso di spezzare i fucili e seguire le vie diplomatiche, stanchi dei due bagni di sangue della prima metà del Novecento.

Inoltre è impossibile dimenticare che il North Stream 2 sarebbe l’infrastruttura strategica più danneggiata da un’aperta ostilità russo-europea: si tratterebbe di un’altra perdita non indifferente perché è vero che l’Europa ha bisogno del gas russo, ma forse è Putin ad aver più bisogno dei soldi europei per tenere in piedi il suo vasto e vorace sistema di oligarchi cleptomani.

 

di Camillo Bosco

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