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I nuovi Stati Uniti non sono un bel film

Osservando le immagini dello scontro tra gli inquilini della Casa Bianca e Zelenskyj vengono in mente i vecchi blockbuster per adolescenti. Trump e Vance hanno demolito in pochi minuti l’immagine degli Stati Uniti costruita nel corso di ottant’anni di storia, dalla geopolitica alla pop culture

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I nuovi Stati Uniti non sono un bel film

Osservando le immagini dello scontro tra gli inquilini della Casa Bianca e Zelenskyj vengono in mente i vecchi blockbuster per adolescenti. Trump e Vance hanno demolito in pochi minuti l’immagine degli Stati Uniti costruita nel corso di ottant’anni di storia, dalla geopolitica alla pop culture

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I nuovi Stati Uniti non sono un bel film

Osservando le immagini dello scontro tra gli inquilini della Casa Bianca e Zelenskyj vengono in mente i vecchi blockbuster per adolescenti. Trump e Vance hanno demolito in pochi minuti l’immagine degli Stati Uniti costruita nel corso di ottant’anni di storia, dalla geopolitica alla pop culture

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Osservando le immagini dello scontro tra gli inquilini della Casa Bianca e Zelenskyj vengono in mente i vecchi blockbuster per adolescenti. Trump e Vance hanno demolito in pochi minuti l’immagine degli Stati Uniti costruita nel corso di ottant’anni di storia, dalla geopolitica alla pop culture

Osservando le immagini dello scontro tra gli inquilini della Casa Bianca e Zelenskyj vengono in mente i vecchi blockbuster per adolescenti. Che con discreta finalità pedagogica smascheravano l’inconsistenza dei prepotenti, di fronte ai quali anche il più improbabile degli outsider poteva vincere la partita. Forte di fiducia in sé stesso e giusti valori. Come non ricordare “Karate Kid”, storia di un ragazzo italoamericano bullizzato, avviato alle arti marziali da un immigrato giapponese rimasto senza famiglia? Una vicenda in cui due emarginazioni trovavano, l’una nell’altra, la forza per ribaltare gli schemi e afferrare un lieto fine.

Parliamo soprattutto di film americani. Permeati dell’idea secondo cui l’uomo comune non solo ha diritto alla propria rivincita personale, ma coltivandola attiva un processo virtuoso di trasformazione sociale. Uomini disposti al sacrificio in nome di un ideale di libertà e di verità. Assoluti nella loro dimensione etica come assoluta era allora la missione – militare, economica e culturale – che gli Stati Uniti intraprendevano nel mondo libero. Parliamo di icone dell’irriducibilità morale americana, a partire da Humphrey Bogart, passando da Gary Cooper o Jimmy Stewart per arrivare a John Wayne. Un elenco incompleto, però sufficiente a tratteggiare caratteri e sfumature possibili di un medesimo modello.

Perché, ed è questa la cosa più significativa, quel tipo di personaggio era un tempo universalmente condiviso. Dagli intellettuali delle coste ai redneck dell’interno, dai laici ai religiosi, dai progressisti ai conservatori. Non è un caso che qualsiasi governo americano, dalla Seconda guerra mondiale in poi – pur con i distinguo e le contraddizioni possibili (e anche tante ipocrisie, per carità) – abbia tendenzialmente ancorato la propria visione internazionale ai cardini ideali di cui sopra. Schierandosi dalla parte delle democrazie e delle società cosiddette aperte, in nome di una certa idea di libertà. Fosse anche strumentale.

Per questo dunque ci ha così spiazzato la sceneggiata andata in onda a Washington. Trump e Vance hanno demolito in pochi minuti l’immagine degli Stati Uniti per come la conosciamo. Costruita nel corso di ottant’anni di storia, dalla geopolitica alla pop culture. Altro che eroismo dei padri fondatori o riscatto dei deboli contro i forti. Il presidente e il suo vice ci hanno fatto più che altro pensare alla baby gang di “Karate Kid” o a Liberty Valance. Che nell’omonimo film del 1962 umilia l’idealista James Stewart prima che intervenga il cowboy John Wayne a fare giustizia. Rendendo così evidente la possibile coesistenza – allora – di due Americhe antropologicamente diverse, in nome di valori comuni.

L’uomo più importante degli Stati Uniti e il suo secondo sono apparsi nel ruolo dei cattivi senza cuore e senza cervello. A cui Hollywood ha tradizionalmente contrapposto personaggi che non si piegano di fronte ad abusi e prepotenze, anche quando sono soli contro dieci. Parte che, in questa ipotetica sceneggiatura, è stata invece ben interpretata da Zelenskyj.

Abbiamo così assistito a una rappresentazione plastica di come un certo spirito americano, relativamente condiviso a livello globale e principalmente in Europa, tenda a indebolirsi proprio lì dove è nato. In un Paese che si è via via scoperto diviso, polarizzato su opposte visioni della società. Sono ormai lontani i tempi di Roosevelt e del suo discorso sulle “quattro libertà”. L’America si è richiusa in sé stessa e non da oggi, e anche quanto al cinema le cose stanno cambiando. Si racconta una società sempre più disperante e priva di riferimenti, in cui persino l’eroismo ‘quotidiano’ si è fatto incerto. È come se si fosse rotto un patto umano, prima ancora che morale. Non è chiaro se Trump sia causa o conseguenza di questo sconvolgimento, ma certamente ne incarna valori profondi. Ci faremo i conti.

Di Gabriele Molinari

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