I perché della rabbia di Valencia. Le colpe di Madrid
Ritardi, miopie e distacco mettono a rischio i soccorsi dopo le alluvioni in Spagna. Tra governo locale e nazionale, l’unica istituzione che sembra comprendere la gravità della situazione è la corona
I perché della rabbia di Valencia. Le colpe di Madrid
Ritardi, miopie e distacco mettono a rischio i soccorsi dopo le alluvioni in Spagna. Tra governo locale e nazionale, l’unica istituzione che sembra comprendere la gravità della situazione è la corona
I perché della rabbia di Valencia. Le colpe di Madrid
Ritardi, miopie e distacco mettono a rischio i soccorsi dopo le alluvioni in Spagna. Tra governo locale e nazionale, l’unica istituzione che sembra comprendere la gravità della situazione è la corona
Ritardi, miopie e distacco mettono a rischio i soccorsi dopo le alluvioni in Spagna. Tra governo locale e nazionale, l’unica istituzione che sembra comprendere la gravità della situazione è la corona
Il fango piovuto addosso alle autorità spagnole in visita a Paiporta, cittadina alle porte di Valencia martoriata dalle recenti alluvioni, è la manifestazione di una rabbia dura, esasperata. Contro chi avrebbe il dovere di proteggere e assistere una popolazione allo stremo, e invece langue nell’immobilismo. Senza avere nemmeno il coraggio di affrontare le proprie responsabilità.
Si parte dal presidente della Generalitat Valenciana, Carlos Mazón. Incurante delle critiche che gli sono piovute addosso sin dalle prime ore per non aver dato l’allarme, negli ultimi giorni è arrivato persino a minare i soccorsi. Prima il no ai volontari arrivati da tutto il Paese, che secondo lui avrebbero ingolfato le operazioni già in difficoltà (anche, però, per l’insufficienza del personale). Poi la resistenza nei confronti degli aiuti governativi, con la dichiarazione tardiva dello stato d’emergenza che solo sabato ha permesso di schierare 10mila militari. Sarebbero più che ragionevoli le dimissioni, ma Mazón non molla. E davanti al fango si dilegua in un batter d’occhio.
Non va meglio al primo ministro Sanchez, raggiunto da un bastone e subito evacuato dalla sicurezza. Quello contro di lui è stato un attacco anche politico, rivendicato da un movimento di destra, ma non per questo meno importante. Sua, secondo la popolazione, la colpa dei ritardi nei soccorsi, anche se non è del tutto vero: la legge spagnola prevede l’intervento del governo centrale solo previa dichiarazione dello stato di emergenza regionale.
La vera colpa di Sanchez è di non aver interagito a sufficienza con Bruxelles. Sin dalle primissime ore la presidente della commissione Ursula Von der Leyen ha offerto tutto il supporto necessario. Subito è stato attivato il sistema satellitare Copernicus, per aiutare nel coordinamento dei soccorsi. Poi è stato offerto l’invio di unità dell’EU Civil Protection Mechanism, già impiegate in altri disastri (dalle alluvioni in Emilia Romagna del 2023 a quelle in Germania dello scorso giugno, passando per il sisma in Turchia e Siria di un anno e mezzo fa). Ma Madrid ha accettato solo l’assistenza finanziaria. Decisione miope, che rende più lenta e inefficiente una macchina dei soccorsi ancora centrata più su cittadini esasperati e volontari senza esperienza, piuttosto che su personale addestrato.
Stupisce anche, davanti all’enormità del disastro (scriviamo quando i morti confermati sono 217, e i dispersi quasi 2mila), che nemmeno i tradizionali meccanismi di aiuto popolare si siano attivati. Ricordiamo tutti le raccolte fondi e le collette di beni essenziali per il sisma in Medio Oriente del 2023. Ma pure nei casi tedesco ed emiliano almeno le sottoscrizioni economiche c’erano state. In questo caso, invece, l’unica mano arrivata da altre nazioni è quella della folta comunità di studenti Erasmus di Valencia, che da subito hanno imbracciato le pale.
Non colpisce quindi che la rabbia popolare colpisca, urbi et orbi, anche figure che di responsabilità non ne hanno. Come re Felipe e la regina Letizia, infangati e insultati dalla gente ieri a Paiporta, nel corso di quella visita chiesta dai sovrani nonostante il parere negativo dello staff. Eppure sono proprio loro, che potere non hanno, a farsi carico dei doveri politici di ascolto e risposta. Mentre i due presidenti si dileguano, la corona resta. Col volto infangato, Letizia abbraccia le persone e scoppia in lacrime. Felipe ascolta la rabbia che si riversa su di lui, rompe i cordoni di sicurezza per interagire con la gente. A chi lo ringrazia e a chi lo attacca dice: «Vi capiamo, avete ragione». E poi, prima di allontanarsi in auto, si volge verso la folla e pronuncia quella breve frase che, secondo logica, sarebbe dovuta uscire dalla bocca dei governanti e non dalla sua: «Perdonateci».
Di Umberto Cascone
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