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I trumpisti che temono Trump

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Le critiche rivolte a Donald Trump, sin da quando ha annunciato la sua prima candidatura alla Casa Bianca nel giugno 2015, sono sempre state accese e frequenti. Tuttavia poche volte hanno realmente eroso il suo consenso

Trump

I trumpisti che temono Trump

Le critiche rivolte a Donald Trump, sin da quando ha annunciato la sua prima candidatura alla Casa Bianca nel giugno 2015, sono sempre state accese e frequenti. Tuttavia poche volte hanno realmente eroso il suo consenso

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I trumpisti che temono Trump

Le critiche rivolte a Donald Trump, sin da quando ha annunciato la sua prima candidatura alla Casa Bianca nel giugno 2015, sono sempre state accese e frequenti. Tuttavia poche volte hanno realmente eroso il suo consenso

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Le critiche rivolte a Donald Trump, sin da quando ha annunciato la sua prima candidatura alla Casa Bianca nel giugno 2015, sono sempre state accese e frequenti. Tuttavia poche volte hanno realmente eroso il suo consenso. Durante la sua prima campagna elettorale Trump dichiarò provocatoriamente: «Potrei sparare alla gente per strada e non perdere un singolo punto di consenso». Un’affermazione che si è dimostrata sorprendentemente accurata. Anche grazie a un ecosistema mediatico nel quale soltanto chi gode della sua approvazione personale ha diritto di parola. Persino figure autorevoli del Partito repubblicano, come il defunto senatore John McCain e Mitt Romney, sono state marginalizzate. E considerate come residui di un establishment decadente che ostacola la trasformazione dello Stato federale sotto la guida di Trump.

Le critiche sembrano dunque impossibili. O quasi. Perché quelle avanzate dal giornalista e scrittore Rod Dreher sulle colonne di “Free Press” pongono interrogativi significativi, soprattutto tra l’elettorato conservatore. Il contesto in cui Dreher pubblica il suo articolo è emblematico. “Free Press” è un progetto online diretto da Bari Weiss. Ex editorialista del “Wall Street Journal” e del “New York Times” nota per le sue critiche ai democratici. Soprattutto per le scelte dell’amministrazione Biden.

Dreher rappresenta a sua volta una figura di spicco del conservatorismo di nuovo conio, lontano dal vecchio Partito repubblicano. Fondatore del magazineThe American Conservative”, è un isolazionista convinto. Estimatore di Viktor Orbán (tanto da trasferirsi in Ungheria) e sostenitore delle idee di J. D. Vance riguardo a un nuovo ordine mondiale post liberale, incentrato sulla riscoperta dei valori giudaico-cristiani. Eppure nel suo articolo – dal titolo inequivocabile “La destra woke prenderà i vostri figli” – Dreher denuncia una radicalizzazione crescente della galassia conservatrice americana. Assimilabile a quella che lui stesso attribuisce alla sinistra progressista.

Secondo Dreher il modus operandi woke – termine che letteralmente significa “sveglio” ma che nel contesto politico di oggi rappresenta un atteggiamento dogmatico e oltranzista della sinistra moderna, alimentato da indignazione e attacchi personali onlineha contagiato anche la destra. Attraverso racconti aneddotici descrive un’ideologizzazione estrema di alcuni giovani conservatori bianchi americani, sempre più inclini a glorificare idee antisemitiche e persino naziste con toni sempre meno velati. Tra i responsabili di questa deriva Dreher individua Tucker Carlson, ex anchorman di “Fox News” e oggi promotore di teorie complottiste sempre più estreme. In una recente puntata del suo show online ha persino sostenuto che Winston Churchill fosse «il vero cattivo della Seconda guerra mondiale», ridimensionando il ruolo di figure come Hitler e Stalin. A completare questo panorama ci sono podcaster come Candace Owens, afroamericana e ospite gradita ai meeting conservatori del Cpac, che utilizzano un linguaggio sempre più fascistizzato.

Quale soluzione adottare? Nessuna soluzione pronta all’uso da parte dell’autore, che però tenta di sollevare un allarme, anche se il suo impatto rischia di essere limitato, temendo che possa finire con un’acquiescenza come quella dei regimi comunisti dell’Est. Tuttavia potrebbe spingere figure più influenti a frenare la corsa verso posizioni estremiste all’interno del Partito repubblicano. L’autore riconosce che per anni molti hanno preferito tacere per opportunismo. Ma la sua autocritica non è del tutto esente da contraddizioni, considerando che lo stesso Dreher ha a lungo sostenuto la necessità di superare il liberalismo, definendolo «inadatto ai tempi nuovi».

di Matteo Muzio

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