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Stellantis

Il disastro Stellantis oltre i milioni di Tavares

Tavares e l’incapacità di disegnare un piano industriale in grado di rispondere a uno dei passaggi più complessi dell’automotive

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Il disastro Stellantis oltre i milioni di Tavares

Tavares e l’incapacità di disegnare un piano industriale in grado di rispondere a uno dei passaggi più complessi dell’automotive

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Il disastro Stellantis oltre i milioni di Tavares

Tavares e l’incapacità di disegnare un piano industriale in grado di rispondere a uno dei passaggi più complessi dell’automotive

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Tavares e l’incapacità di disegnare un piano industriale in grado di rispondere a uno dei passaggi più complessi dell’automotive

Il tema Carlos Tavares, ormai ex numero uno del gruppo Stellantis, non è mai stato il suo gigantesco compenso. Non abbiamo mai mancato di rivolgere pesanti critiche all’Ad dimissionario, quando molti altri tacevano per ben noti interessi editoriali o pubblicitari e mai una parola si è detta sullo stipendio: Tavares non verrà ricordato per i giganteschi emolumenti non certo estorti ma per l’assoluta incapacità di disegnare un piano industriale in grado di rispondere a uno dei passaggi più complessi dell’automotive.

Da anni questo è il drammatico problema di Stellantis, priva di modelli vincenti, di un’idea da proporre al mercato e di una strategia capace di andare oltre chiedere incentivi per drogare il mercato e sopravvivere un paio di Quarter.

In attesa di conoscere il nome del nuovo Ceo, tocca a John Elkann ed è un bene, perché è un bene che l’azionista di riferimento non abbia paraventi dietro cui nascondersi mentre tutto va a rotoli.
La crisi nera è oggi, i numeri precipitano mentre scriviamo e non c’è tempo.

È doveroso attendersi, se non una visione, uno straccio di piano industriale a medio termine, eventuali alleanze strategiche o un’ipotesi di vendita, qualsiasi cosa possa dare ossigeno a un gruppo che appare decotto.

La crisi è intanto europea, certificata dal male oscuro del colosso Volkswagen, dove lo sciopero a oltranza fa impressione anche qui. Oltretutto a poche ore dalle sterili polemiche seguenti allo sciopero generale di venerdì che “generale” non lo è stato per nulla.
L’agitazione proclamata alla Volkswagen ha tratti disperati e mette il dito nella piaga di una serie di errori strategici commessi in Germania, Francia e Italia. Errori che ci hanno lasciato scoperti davanti alla concorrenza cinese e in buona sostanza senza armi.

È facile e persino accattivante dare tutta la colpa alla scelta politica dell’Ue di mettere al bando dal 2035 i motori endotermici. Piace a certa politica: identificare un comodo “nemico” e darlo in pasto alla pubblica opinione.
Faremo un esempio utile a comprendere la miopia che ci circonda: per anni si è detto, in ambienti industriali e politici europei, che non si potesse costruire elettrico ed economicamente abbordabile, poi ci siamo svegliati con un’ondata di auto elettriche cinesi a prezzi concorrenziali con le tradizionali e tutto quello che abbiamo potuto fare è proteggerci con i dazi.

Il ministro della Sviluppo economico Urso ha dichiarato che “il percorso verso l’elettrico si è arrestato” ma se così fosse perché mai dovremmo temere la concorrenza cinese e affidarci ai dazi (poi ce la prendiamo con Trump…)?

Questo succede quando non si investe in ricerca e sviluppo, quando non si preparano le infrastrutture industriali e di distribuzione per batterie e ricariche, quando si tengono due piedi in una scarpa, quando non si azzecca un modello neppure per caso. A proposito, le uniche auto Stellantis che vendono ancora risalgono all’era Marchionne. Non un caso.

Di Fulvio Giuliani

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