Il grano ucraino rimane bloccato sotto il ricatto di Putin
| Esteri
Il vicedirettore della divisione commerciale delle ferrovie pubbliche ucraine è un fiume in piena sulla crisi del grano: “Senza accordo per corridoi che permettano alle navi di transitare senza essere attaccate dai russi ci troveremo davanti a una catastrofe umanitaria senza eguali”.

Il grano ucraino rimane bloccato sotto il ricatto di Putin
Il vicedirettore della divisione commerciale delle ferrovie pubbliche ucraine è un fiume in piena sulla crisi del grano: “Senza accordo per corridoi che permettano alle navi di transitare senza essere attaccate dai russi ci troveremo davanti a una catastrofe umanitaria senza eguali”.
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Il grano ucraino rimane bloccato sotto il ricatto di Putin
Il vicedirettore della divisione commerciale delle ferrovie pubbliche ucraine è un fiume in piena sulla crisi del grano: “Senza accordo per corridoi che permettano alle navi di transitare senza essere attaccate dai russi ci troveremo davanti a una catastrofe umanitaria senza eguali”.
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AUTORE: Ilaria Cuzzolin
Valery Tkachev è un fiume in piena, snocciola un numero dietro l’altro: «In condizioni normali, in questo periodo dell’anno, avremmo dovuto esportare già 25 milioni di tonnellate di grano ma siamo lontanissimi da queste cifre» spiega il vicedirettore della divisione commerciale delle ferrovie pubbliche ucraine dal nome impronunciabile, Ukrzaliznytsya. «Risultato? Abbiamo 1.100 silos sparsi in vari punti del Paese, pieni ancora per metà del grano dello scorso anno».
Mentre ci parla, il manager è scuro in faccia; nello sguardo gli si leggono tutta la preoccupazione e l’impotenza di chi vorrebbe trovare una soluzione a un problema molto più grande di lui. Parliamo di numeri enormi: milioni di tonnellate di grano e altrettante bocche da sfamare nei Paesi più poveri del mondo mentre proprio in questi giorni comincia la nuova raccolta.
È un tunnel senza uscita: non si sa come portare fuori il grano dello scorso anno né dove mettere quello di quest’anno. Serve fare spazio e per farlo «l’unica speranza è che l’Onu o la Nato trovino subito un accordo per corridoi che permettano alle navi di transitare senza essere attaccate dai russi» chiede a gran voce Tkachev.
«Se così non sarà, ci troveremo davanti a una catastrofe umanitaria senza eguali. Già l’anno prossimo non saremo in grado di produrre gli stessi volumi di grano degli anni precedenti (106 milioni di tonnellate nel 2021, ndr.) dato che i russi hanno bombardato i nostri campi, distruggendo di proposito i silos con il grano. Abbiamo già perduto 15 milioni di tonnellate. Con questo ricatto sul grano, Putin sa di poter tenere in scacco il mondo intero e prova così ad allentare le sanzioni».
Nel frattempo la Polonia costruisce nuovi spazi per lo stoccaggio ma ci vuole tempo e il Paese non è attrezzato per ricevere quantitativi così ingenti. Stessa situazione in Romania, a Costanza, dove approdano le navi che partono dagli unici (piccoli) porti rimasti in mano all’Ucraina affacciati sul Danubio. Usando il trasporto navale, ferroviario e su gomma, oggi il Paese riesce a far uscire solo un quinto del grano disponibile.
«Per velocizzare il processo abbiamo anche semplificato la burocrazia sui controlli sanitari e veterinari con i Paesi confinanti, ma non basta. Mancano proprio le infrastrutture. C’è poi un altro grosso problema: oltre a non avere un numero sufficiente di vagoni adibiti allo stoccaggio, i binari ucraini sono più larghi rispetto a quelli europei e questo genera enormi difficoltà negli scambi in dogana. Al momento ci sono 40mila vagoni in attesa di essere ricevuti dall’Unione europea. È un flusso che non può essere organizzato da un giorno all’altro e più di così non possiamo fare» conclude Tkachev.
Il destino di una grossa fetta di mondo è ora nelle mani della Turchia che proprio in queste ore è seduta attorno a un tavolo con i rappresentanti di Russia, Ucraina e Onu per provare a venirne a capo. E una volta (speriamo) che si sarà trovata la soluzione, si pensi poi a come aiutare l’Africa a produrre da sola ciò di cui ha bisogno.
Di Ilaria Cuzzolin
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