Il Regno Unito in mani straniere
La Gran Bretagna è stata a lungo un impero globale multietnico e le origini dei politici ne sono una conferma
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La Gran Bretagna è stata a lungo un impero globale multietnico e le origini dei politici ne sono una conferma
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La Gran Bretagna è stata a lungo un impero globale multietnico e le origini dei politici ne sono una conferma
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La Gran Bretagna è stata a lungo un impero globale multietnico e le origini dei politici ne sono una conferma
In visita di Stato a Berlino, re Carlo III si è rivolto in tedesco al Bundestag. È infatti di casa, visto che la famiglia reale britannica è… etnicamente tedesca. Carlo è un Saxe-Coburg und Gotha e Battenberg. Windsor è un mero cognome di convenienza. Anche il cognome di Boris Johnson è “di convenienza”. Il nonno paterno Ali Kemal, turco, era un ministro liberale dell’impero ottomano finito in esilio in Inghilterra. La famiglia adottò per prudenza il cognome della nonna materna inglese. Il primo ministro britannico Rishi Sunak è un hindu con radici indo-africane. Il neo primo ministro scozzese Humza Yussaf è un musulmano di origine pakistana, come il sindaco di Londra Sadiq Khan.
La Gran Bretagna è stata a lungo un impero globale multietnico, il che spiega in parte il fenomeno. I britannici musulmani e hindu, tuttavia, sono in totale meno del 10% della popolazione. Minoranze di grandi qualità politiche, apparentemente. Quel che resta razionalmente inspiegabile, specie in questo contesto, è stata la Brexit: una scelta economicamente masochista – un gesto di rivolta emotiva antiglobalista e anti-immigrazione – nell’illusione di poter resuscitare una sovranità globale perduta, fascino dell’insularità.
A quasi sette anni dal referendum per lasciare l’Unione europea, il Pil britannico langue, l’inflazione galoppa, il commercio estero retrocede, diminuiscono gli immigrati europei e aumentano quelli asiatici e africani. Il masochismo collettivo ha sempre un limite, tanto è vero che i sondaggi indicano che se oggi si potesse ripetere il referendum del 2016 una solida maggioranza – ancor più forte tra i giovani – sceglierebbe di rientrare nell’Ue. Ammettere l’errore sarebbe prova di saggezza, ma pare poco realistico immaginare a breve una svolta del genere. Quel che è certamente possibile è un rafforzamento dei legami politici fra Ue e Uk, superato ora “con destrezza” l’ostacolo dell’intrattabile problema nord-irlandese.
Il famoso “pilastro europeo della Nato”, rimasto sulla carta nei decenni della distensione, sta assumendo concretezza sotto la sferza dell’aggressione di Putin. Non può non includere la Gran Bretagna, unico grande Paese europeo (oltre alla Francia) che ha già un rispettabile bilancio della difesa. Non sappiamo quanto durerà la guerra di Putin, ma sappiamo che tra un anno e mezzo ci saranno le elezioni americane, con il rischio latente di una nuova amministrazione neoisolazionista.
Due mesi dopo (se non prima) si voterà anche in Uk ed è molto probabile che i conservatori si ritrovino in minoranza. Un nuovo governo laburista a guida moderata non potrà sfuggire alla constatazione che la Manica resta infinitamente più stretta dell’Atlantico. Nell’attesa, a Bruxelles l’inglese resta la lingua franca.
di Ottavio Lavaggi
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