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In Inghilterra è Boris nostalgia

Gli inglesi l’hanno definita “Boris nostalgia”: un sentimento diffuso tra i tories di pentimento in vista delle primarie del Partito conservatore, pubblici dal 5 settembre.
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In Inghilterra è Boris nostalgia

Gli inglesi l’hanno definita “Boris nostalgia”: un sentimento diffuso tra i tories di pentimento in vista delle primarie del Partito conservatore, pubblici dal 5 settembre.
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In Inghilterra è Boris nostalgia

Gli inglesi l’hanno definita “Boris nostalgia”: un sentimento diffuso tra i tories di pentimento in vista delle primarie del Partito conservatore, pubblici dal 5 settembre.
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Gli inglesi l’hanno definita “Boris nostalgia”: un sentimento diffuso tra i tories di pentimento in vista delle primarie del Partito conservatore, pubblici dal 5 settembre.
I sondaggisti inglesi hanno coniato un nuovo termine giornalistico, Boris nostalgia, che descrive in maniera efficace l’atmosfera in cui si stanno svolgendo le primarie del Partito conservatore. In attesa dei risultati definitivi – verranno resi pubblici il 5 settembre – il sentimento diffuso tra i tories è quello del pentimento e gli stessi che hanno preteso un cambio di leadership danno vita oggi a un bizzarro revisionismo storico sulla guida di Boris Johnson, passato nell’arco di pochi mesi da bersaglio della satira a statista. In una serie di interviste che hanno coinvolto simpatizzanti e militanti conservative, la maggioranza ha affermato di preferire l’attuale primo ministro ai due nomi emersi dalla corsa alla segreteria, Liz Truss e Rishi Sunak. Il confronto è impietoso: su mille intervistati, più del 60% degli elettori conservatori sceglierebbe di mantenere Boris Johnson al suo posto piuttosto che affidare il partito a uno dei due contendenti. Risultati del genere hanno creato non pochi imbarazzi ai vertici che, dopo il partygate (lo scandalo di inizio anno riguardante Johnson), non hanno considerato l’eventualità di una presa di posizione simile da parte della base. Gli osservatori cercano di capire il motivo di questa improvvisa nostalgia. Secondo alcuni va ricercata nei meriti dell’amministrazione Johnson (il successo elettorale del 2019, il compimento della Brexit e le prese di posizione sul conflitto tra Russia e Ucraina) che potrebbero aver compattato l’area conservatrice attorno al primo ministro. Stando alle valutazioni di altri osservatori, si tratterebbe più semplicemente dell’effetto della scarsa popolarità esercitata dal duo Truss-Sunak: i due avversari viaggiano nei sondaggi sulle stesse percentuali e arrancano tra i loro stessi sostenitori, indice di come questa sfida sia meno sentita di quanto appaia all’esterno. Per comprendere la distanza tra base elettorale e partito è sufficiente guardare ai meccanismi interni del Conservative Party. Il numero dei suoi iscritti non è del tutto chiaro da quando l’allora premier Theresa May ha centralizzato le liste degli aderenti a discapito delle sezioni locali, creando un problema di trasparenza sull’identità e sulle dimensioni dei tesserati. Secondo le ultime stime, il numero complessivo dei tories oscilla tra centosessantamila e centottantamila, situato in maggioranza nella sola città di Londra. È anche interessante notare come non ci siano limiti di età per partecipare al voto delle primarie: ci si può tesserare già a quindici anni e con l’ingresso è automaticamente garantita la partecipazione elettorale interna. Fattori come questi hanno determinato un distacco marcato tra le scelte del Conservative Party e i milioni di elettori che lo hanno premiato nelle urne. Al di là del risultato finale, per il momento il vincitore della lotta interna è proprio lo sconfitto in partenza: Boris Johnson.   di Antonio Pellegrino

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