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In Israele è rivolta contro Netanyahu

La protesta in Israele contro la riforma della giustizia voluta da Netanyahu ha visto scendere in piazza anche i riservisti
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In Israele è rivolta contro Netanyahu

La protesta in Israele contro la riforma della giustizia voluta da Netanyahu ha visto scendere in piazza anche i riservisti
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In Israele è rivolta contro Netanyahu

La protesta in Israele contro la riforma della giustizia voluta da Netanyahu ha visto scendere in piazza anche i riservisti
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La protesta in Israele contro la riforma della giustizia voluta da Netanyahu ha visto scendere in piazza anche i riservisti
Per comprendere la dimensione della protesta scoppiata in Israele, contro la riforma della giustizia voluta dal premier Benjamin Netanyahu, basti dire che la rivolta ha raggiunto i riservisti. Questi ultimi non sono solo un elemento fondamentale dell’architettura della difesa di Israele, ma una vera e propria icona sociale. Sono le donne e gli uomini pronti a essere richiamati in qualsiasi momento da esercito, aeronautica e marina – in particolar modo le prime due – per poter difendere lo Stato da ogni minaccia o, dato essenziale, prevenirle con azioni mirate che sono parte della storia e della politica di Israele. Sono le donne e gli uomini dei leggendari reparti d’Elite dell’aeronautica e di Tsahal, l’esercito, che di effettivi ne conta 167.000 e riservisti 445.000. Per dare una dimensione. Se questi ultimi arrivano a minacciare un ammutinamento tecnico, rinunciando ai periodici richiami di esercitazione, vuol dire che il limite di rottura è vicino. Fa più impressione anche delle 600.000 persone piazza, sui 9 milioni di abitanti, nelle ultime 48 ore. Non è in gioco il destino politico di Netanyahu, abile e spregiudicato trasformista capace di qualsiasi alleanza via via sempre più a destra per conservare o riconquistare il potere. È in gioco la solidità stessa dell’unica democrazia dell’area.  Per un Paese ancora oggi odiato da buona parte dei suoi vicini, una realtà potenzialmente fatale. Non a caso, ieri il Dipartimento di Stato statunitense si è detto preoccupato per la stabilità della difesa dello storico alleato, dopo il clamoroso licenziamento del ministro della Difesa Gallant contrario alla riforma della giustizia. Nelle stesse ore, a Teheran, in Siria e in Libano – tanto per cominciare – è presumibile si sia festeggiato. Anche in Occidente è inutile negare quanto sia controverso il rapporto di tanti con Israele: formalmente ineccepibile, ma spesso venato da un sordo rancore per la pluridecennale e irrisolta questione palestinese. Una figura come quella di Bibi sembra fatta apposta per minarne simpatia e credibilità. Guai a confondere un politico già ampiamente screditato con i destini di un Paese che generazioni di governi e di masse indottrinate avrebbero voluto cancellare dalla faccia della terra da settant’anni a questa parte. Guai a lasciare sola l’unica vera democrazia – come dimostrato proprio in queste ore – nel raggio di migliaia di chilometri. Guai a farsi accecare dall’antipatia personale e politica per un leader senza scrupoli e non vedere che con Israele a rischiare siamo anche noi, lì in quelle terre magnifiche e disperate. di Fulvio Giuliani

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