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Voto in Inghilterra e le domande per l’Occidente 

Garage Farage. Cominciamo con un gioco di parole questo racconto sull’Inghilterra politica che si appresta, a luglio, ad andare al voto

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Voto in Inghilterra e le domande per l’Occidente 

Garage Farage. Cominciamo con un gioco di parole questo racconto sull’Inghilterra politica che si appresta, a luglio, ad andare al voto

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Voto in Inghilterra e le domande per l’Occidente 

Garage Farage. Cominciamo con un gioco di parole questo racconto sull’Inghilterra politica che si appresta, a luglio, ad andare al voto

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Garage Farage. Cominciamo con un gioco di parole questo racconto sull’Inghilterra politica che si appresta, a luglio, ad andare al voto

Garage Farage. Cominciamo con un gioco di parole questo racconto sull’Inghilterra politica che si appresta, a luglio, ad andare al voto in un’epoca in cui la sua monarchia non se la passa troppo bene in salute (e di questo ci dispiaciamo, sinceramente). Non per ammiccare a una facile assonanza. Ma perché Farage, al secolo Nigel, rischia davvero di diventare il parcheggio inglese rispetto ai casini del mondo di oggi e alle sue letture londinesi. Il primo ministro Sunak, andando per propria scelta a elezioni anticipate, ha provato a giocare un azzardo come nel poker, pur sapendo che i laburisti inglesi se la passano assai meglio dei conservatori e che lui non ha in mano una scala reale ma, nella migliore delle ipotesi, una doppia coppia. E infatti non vi è oggi un sondaggio inglese che racconti ai Tories di esser loro i vincenti.

Detto ciò, la variabile imprevista rispetto a una sconfitta politica in un mondo bipolare – Labour da una parte e Conservatori dall’altra – si incarna in questo momento in Farage. È lui, Nigel, l’uomo che ha spinto l’Inghilterra verso la Brexit descrivendo quel mondo (una volta fuori dall’Europa) come il migliore di quelli possibili. Trattavasi di fregnaccia, non perché l’Europa sia in quest’epoca il paradiso terrestre bensì perché rappresenta, in tempi complicati e di guerra, una frontiera di libertà in cui l’Inghilterra si sarebbe trovata a casa sua. Quanto alla politica inglese, oggi sopravvalutata nelle proprie dinamiche e nei suoi dibattiti non avendo più un Winston Churchill a presidiare le libertà, lasciamola alle chiacchiere. Sunak dice che il voto a Farage sarà sprecato se lo voteranno gli inglesi conservatori. E Farage dal canto suo sottolinea che oggi non vi è alcuna possibilità che Reform Uk (questo il nome politico della sfida faragista) prenda in considerazione un accordo con i conservatori. Lo ha affermato ancora in queste ore, dopo aver ribadito la sua candidatura alle elezioni generali del 4 luglio, con queste parole: «Siamo stati traditi da un Partito conservatore a cui ho dato un notevole aiuto» e il riferimento del leader della Brexit era chiaramente rivolto al sostegno ai conservatori di un anti-sistema come lui.

Uscendo da ciò che è stato – e guardando a ciò che potrebbe essere – la domanda adesso è soltanto una: sarà Farage il Trump inglese ovvero la svolta definitiva di una trasformazione politica della destra conservatrice anglosassone in chiave populista? Solo i santini (e noi, figli dell’Illuminismo, non ci crediamo) hanno risposte già pronte. Senza pregiudizi una cosa però la possiamo registrare: le democrazie attuali a sinistra girano verso un controllo sociale sempre più accentuato e, a destra, verso populismi irrazionali. Accorgersene è il modo più azzeccato di non parcheggiare l’Occidente dentro una sorta di garage Farage. Sarebbe una vera iattura. Un garage senza uscita.

di Massimiliano Lenzi

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