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Iran-Israele, bollettino del 7° giorno di guerra. Aspettando Trump

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T.A.C.O. non T.A.C.O.? Trump Always Chicken Out (“Trump fa sempre marcia indietro”), o no? Anche con l’Iran?

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Iran-Israele, bollettino del 7° giorno di guerra. Aspettando Trump

T.A.C.O. non T.A.C.O.? Trump Always Chicken Out (“Trump fa sempre marcia indietro”), o no? Anche con l’Iran?

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Iran-Israele, bollettino del 7° giorno di guerra. Aspettando Trump

T.A.C.O. non T.A.C.O.? Trump Always Chicken Out (“Trump fa sempre marcia indietro”), o no? Anche con l’Iran?

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T.A.C.O. non T.A.C.O.? Trump Always Chicken Out (“Trump fa sempre marcia indietro”), o no? Trump dimostrerà all’Iran perché gli statunitensi non possono permettersi la sanità pubblica, oppure lascerà Israele da sola con i cocci della guerra che ha iniziato? La domanda è importantissima, visto che questa guerra è iniziata soprattutto dall’insipienza trumpiana.

Al netto di qualsiasi valutazione sullo stato di avanzamento del nucleare di Teheran (nonché della incontrovertibile pericolosità di un mondo che conti l’iran tra le potenze nucleari), Gerusalemme fa quel che fa grazie soprattutto alle spalle larghe degli Stati Uniti: finanziamenti e armi arrivano ingenti dall’altra sponda dell’Oceano Atlantico per combattere quella che è una guerra regionale.

Se quindi Israele sta tirando cazzotti al di sopra della propria stazza è perché gli Usa lo sostengono, senza dubbio. Joe Biden, presidente sclerotico ma presente a se stesso, sapeva come intervenire per regolare la valvola bellica israeliana. Trump sa soltanto dire “entro due settimane deciderò che fare”, come le due settimane che concede a Putin per firmare una tregua da tre mesi.

Come si è visto, la post verità del capo del mondo libero sta lanciando crisi decennali verso spirali conclusive: potrebbe non essere un male, ma è come sperare che un cavallo lasciato a briglia sciolta sul ciglio di un burrone galoppi per chilometri senza mai caderci dentro.
Per ora Israele ha avuto competenza e fortuna, ma in guerra la prima cede presto il passo alla consunzione materiale mentre la seconda ha un noto andamento cieco e ondivago.

Un qualcosa da valutare a una settimana dall’inizio delle ostilità, proprio mentre la missilistica iraniana sta prendendo ritmo nel dimostrare come possa superare la quadruplice cinta d’intercettori (sistemi Arrow 2 e 3, THAAD e Fionda di Davide). La città di Be’er Sheva continua a essere bersaglio degli ordigni, che hanno colpito case e uffici (tra cui la sede locale della Microsoft).

pasdaran stanno cercando di colpire gli edifici dell’intelligence israeliana nei centri urbani, così come i luoghi adibiti a ricerca militare. Stranamente, non le basi da cui partono i caccia che quotidianamente martellano la capitale Teheran e i sistemi offensivi iraniani: nella notte più di sessanta caccia israeliani hanno colpito decine di obiettivi militari, tra centri di costruzione di armi nella capitale nemica, siti nucleari e sistemi di lancio dei missili balistici. A Teheran Israele ha colpito anche lo S.P.N.D. (Organization of Defensive Innovation and Research), l’istituto per la ricerca e lo sviluppo di tecnologie e armi avanzate del regime degli ayatollah. Un ente fondato nel 2011 da Mohsen Fakhrizadeh (in seguito eliminato dal Mossad), un uomo considerato il padre del programma nucleare militare iraniano.

In questo momento critico sta continuando anche il ponte aereo statunitense verso il Medio Oriente, con almeno 10 aerei da trasporto C-17 Globemaster III che stanno trasportando carichi verso varie basi del CENTCOM (il Comando statunitense dedicato a quest’area). Un build up che mira a rifornire Israele, ma anche le basi Usa che potrebbero presto partecipare al conflitto. Da notare è invece un cambiamento d’animo in Hamas: Sami Abu Zuhri, un membro di Hamas parte della nomenklatura residente fuori i territori palestinesi, ha espresso la possibilità per la consegna degli ostaggi: «se verranno fornite garanzie internazionali per una cessazione completa della guerra, siamo pronti a liberare tutti i prigionieri nemici in un’unica fase».

Tuttavia è evidentemente troppo poco e troppo tardi, quando Israele non può lasciare il suo nemico regionale, cioè l’Iran, ferito gravemente ma senza aver effettivamente distrutto le sue capacità militari o il programma nucleare. Questo renderebbe davvero aver fatto scoppiare la guerra un atto insensato, soltanto per lasciare a metà un lavoro tanto pericoloso come quello di chiudere i conti col nemico esistenziale.

di Camillo Bosco

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