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Israele-Hamas

Israele e Hamas nella guerra dei sette fronti

L’eccidio del 7 ottobre, giorno cruciale nello scontro tra Israele e Hamas, ha letteralmente distrutto gli equilibri precari del Medio Oriente
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Israele e Hamas nella guerra dei sette fronti

L’eccidio del 7 ottobre, giorno cruciale nello scontro tra Israele e Hamas, ha letteralmente distrutto gli equilibri precari del Medio Oriente
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Israele e Hamas nella guerra dei sette fronti

L’eccidio del 7 ottobre, giorno cruciale nello scontro tra Israele e Hamas, ha letteralmente distrutto gli equilibri precari del Medio Oriente
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L’eccidio del 7 ottobre, giorno cruciale nello scontro tra Israele e Hamas, ha letteralmente distrutto gli equilibri precari del Medio Oriente
Un momento fondamentale del mito bellico di Israele è stato la sua rapida vittoria nella Guerra dei sei giorni del 1967. Oggi Gerusalemme è invece impegnata da 85 giorni in un conflitto aperto che il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha ritratto nella sua relazione alla Knesset come una «Guerra dei sette fronti». Gaza, Cisgiordania, Iran, Yemen, Siria, Iraq e Libano sono i nemici individuati da Gallant, che ha confermato come Israele abbia già reagito contro sei di loro. È ormai chiaro che l’eccidio compiuto da Hamas contro cittadini israeliani il 7 ottobre scorso – 1.200 morti e 7.771 feriti, in stragrande maggioranza civili, e 242 ostaggi rapiti (fra cui 30 bambini) – abbia scardinato irreparabilmente i precari equilibri dell’area. L’offensiva nella Striscia di Gaza è infatti in pieno svolgimento. Le colonne delle Forze di difesa israeliane (Idf) sono penetrate nel Sud (città di Khan Yunis) e nel Centro della Striscia (zona di Bureij), continuando la loro tattica di accerchiare le zone urbane per poi ripulirle progressivamente dalla presenza dei miliziani di Hamas e delle loro strutture. Secondo le Idf questa operazione di bonifica è stata già conclusa nel Nord, portando al ritiro delle truppe d’invasione dalle località di Beit Hanun, Beit Lahia, Jabalia, Nazla e da parte di Shuja’iyya. Continuano però nel resto della Striscia i bombardamenti sui presunti nascondigli dei militanti di Hamas, che hanno già provocato numerose vittime civili a causa dell’alto potenziale degli ordigni utilizzati e della nota pratica dell’organizzazione terroristica di confondersi fra la popolazione. In Cisgiordania il punto più caldo è sicuramente la città di Jenin, che rappresenta un’enclave fedele ad Hamas nel territorio teoricamente amministrato da al-Fatah e dove sono quindi frequenti le incursioni delle Idf per disarticolare cellule radicali ritenute pronte a compiere nuovi attacchi. Queste operazioni tendono tuttavia a creare più morti che detenuti, esacerbando il sentimento antisraeliano che anima Jenin. Contro l’Iran si gioca invece una partita più remota: recentemente le pompe di benzina iraniane sono state bloccate da un attacco informatico, in uno scenario che ricorda da vicino i cyber-attacchi alle installazioni di Teheran dedite all’arricchimento dell’uranio. Probabilmente si è trattato di una ritorsione trasversale per il supporto degli ayatollah agli Houthi, i suprematisti islamici dello Yemen occidentale che stanno tentando di bloccare i trasporti marittimi passanti per il Canale di Suez e i cui missili raggiungono talvolta il porto israeliano di Eilat. Questi ultimi finora, fortunatamente, senza danni. Siria e Iraq pagano invece lo scotto di essere devastate da più di un decennio di guerre che le hanno rese terra franca per le milizie filoiraniane. Gerusalemme colpisce questi territori esclusivamente per contenere l’Iran, come nel caso della recente uccisione a Damasco del generale Seyed Razi Mousavi del Corpo dei Pasdaran iraniani o dei numerosi convogli di armi distrutti prima che arrivassero a Hezbollah. E sono proprio i miliziani di Hezbollah – e il Sud del Libano sotto il loro esclusivo controllo – a rappresentare il prossimo punto a rischio di scontro aperto. Per gli israeliani è divenuto intollerabile che le forze dei suprematisti sciiti di Hassan Nasrallah siano tornate a presidiare il confine, in spregio alla risoluzione Onu 1701 del 2006. Ed è qui che si avvicina la possibilità di una nuova invasione, un drone alla volta.ù di Camillo Bosco La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!

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