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Israele-Iran, alcuni numeri all’ottavo giorno di guerra

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A neanche dieci giorni dall’inizio delle ostilità, l’Iran si ritrova con metà della sua forza offensiva iniziale, quasi senza contraerea e senza aviazione. Una performance bellica molto sotto le aspettative

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Israele-Iran, alcuni numeri all’ottavo giorno di guerra

A neanche dieci giorni dall’inizio delle ostilità, l’Iran si ritrova con metà della sua forza offensiva iniziale, quasi senza contraerea e senza aviazione. Una performance bellica molto sotto le aspettative

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Israele-Iran, alcuni numeri all’ottavo giorno di guerra

A neanche dieci giorni dall’inizio delle ostilità, l’Iran si ritrova con metà della sua forza offensiva iniziale, quasi senza contraerea e senza aviazione. Una performance bellica molto sotto le aspettative

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Venerdì 13 giugno, primo giorno di guerra: cento missili sono partiti dall’Iran, sette hanno colpito Israele; la proporzione è facilissima da calcolare. Sabato 14 giugno: duecento missili, di cui dieci a segno (il 5%). Domenica 15: settanta missili, di cui cinque hanno eluso la contraerea (7%). Lunedì 16: stavolta sono sfuggiti otto su quaranta, cioè un ragguardevole 20%. Martedì 17: tre su appena dieci, con un 30% un po’ falsato da questo basso numero di lanci. Mercoledì 18: quattro su venti (di nuovo 20%). Giovedì 19, il giorno dell’attacco all’ospedale Soroka: trentaquattro, tra cui un Sejjil e un Khorramshar-4 con testata “a grappolo”, con quattro arrivi confermati (11%). Venerdì 20: ventisei missili, di cui tre a segno (ancora 11%) compreso un altro “a grappolo”.

Tenendo a mente il fatto che i numeri non possono essere precisi perché l’Iran non pubblicizza il computo preciso dei missili che lancia (ed è importante rimarcare che usare munizioni “a grappolo” contro centri urbani è un crimine di guerra), alla fine di questa prima lunga settimana di guerra possiamo considerare la performance bellica iraniana molto sotto le aspettative. La capacità di Teheran di infliggere danni è stata confermata. Ma, dopo aver lanciato un sesto della sua supposta intera capacità balistica, cioè 500 ordigni su un magazzino stimato di circa 3 mila, i danni alla capacità bellica israeliana sono stati minimi. Se non nulli.

Ancora peggio per gli ayatollah, Tel Aviv è riuscita a distruggere circa metà dei sistemi di lancio iraniani (approssimativamente 200 su 400). E soprattutto altri mille missili balistici di Teheran, prima ancora che venissero lanciati. Questo significa che, a neanche dieci giorni dall’inizio delle ostilità, l’Iran si ritrova con metà della sua forza offensiva iniziale, quasi senza contraerea e senza aviazione. Le perdite di Israele? Oltre a quelle civili, dolorose senz’altro ma ininfluenti per il conflitto se non sotto il profilo psicologico, ha perso appena tre droni: un Elbit Hermes 900 e due IAI Heron/Eitan. Numeri così piccoli da poter essere assimilati addirittura alla normale sostituzione degli apparecchi causa guasti, quindi perfettamente riassorbibili dalla produzione industriale dello Stato ebraico.

Certo, anche lo Stato persiano ha una sua produzione di missili. E la guerra russo-ucraina ha dimostrato quanto anche una nazione sotto sanzioni possa trovare il modo di produrre le armi che ritiene fondamentali. Gli attacchi israeliani tuttavia hanno preso da subito di mira le fabbriche di ordigni e, anche se è impossibile che siano già state tutte distrutte nel vasto territorio iraniano, sicuramente il ritmo produttivo di quel comparto industriale si è abbassato notevolmente.

Inoltre, abbiamo visto sopra che gli attacchi iraniani provocano danni dolorosi ma trascurabili. È peculiare notare come non sempre serva saturare la difesa antiaerea israeliana per ottenere un numero cospicuo di colpi a segno. Molto dipende dalle aree prese di mira o da altri fattori accidentali, come il meteo o i malfunzionamenti degli intercettori.

Nessuno può però guardare quei numeri e gonfiarsi il petto, se non per bieca propaganda. Questa inefficienza iraniana, unita al continuato dominio dei cieli da parte dell’aeronautica militare israeliana, è una delle motivazioni che potrebbe indurre il presidente statunitense Donald Trump a entrare nell’agone. Per assicurarsi una vittoria fulminea. Già i bombardieri B-2 Spirit si sono levati dalle loro basi continentali per raggiungere la base di Diego Garcia nell’Oceano Indiano. Il loro arrivo, contemporaneo a quello dei gruppi navali delle portaerei “USS Ford” (nel Mediterraneo orientale) e “USS Nimitz” (nel Golfo Persico, in appoggio alla “USS Vinson”), potrebbe segnare il prossimo intervento statunitense a fianco dell’alleato israeliano.

Di Camillo Bosco

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