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Israele, le folle e le domande

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L’oceanica manifestazione in Israele per chiedere il rilascio degli ostaggi e contro le politiche del governo di Netanyahu nella Striscia di Gaza è stata impressionante

Israele, le folle e le domande

L’oceanica manifestazione in Israele per chiedere il rilascio degli ostaggi e contro le politiche del governo di Netanyahu nella Striscia di Gaza è stata impressionante

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Israele, le folle e le domande

L’oceanica manifestazione in Israele per chiedere il rilascio degli ostaggi e contro le politiche del governo di Netanyahu nella Striscia di Gaza è stata impressionante

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L’oceanica manifestazione a Tel Aviv per chiedere la salvezza e il rilascio degli ostaggi e contro le politiche del governo di Benjamin Netanyahu nella Striscia di Gaza è stata impressionante. 350.000 persone (anche fossero state 250.000, nulla cambierebbe) in un Paese di 9 milioni di abitanti costituiscono un’enorme prova di democrazia.

La certificazione più solida che il tessuto connettivo alla base di ottant’anni di storia dello Stato di Israele è ancora vivo e reattivo.

Per quanto la guerra in Israele e per gli israeliani sia un realtà consolidata e costante lungo i decenni – una questione di “quando” e non “se”- ciò che è accaduto dal 7 ottobre a oggi resta devastante per la psiche di un intero popolo. Nonostante questo, un mare di persone è sceso in piazza per urlare i suoi no.

Tutto questo è motivo di speranza per chi come noi non si è mai rassegnato all’idea della fine della storia di Israele come l’abbiamo conosciuta, sostituita da un’ordalia di estremismi che ne hanno messo a rischio il futuro. Eppure non basta e non basterà.

È doveroso chiedere a quelle donne e a quegli uomini, a quelle opposizioni, a quell’anima di un Paese che non si riconosce nelle idee politiche di chi tiene in pugno il governo Netanyahu qualcosa di più strutturato e politicamente efficace.
Perché il sottolineare la follia strategica dell’occupazione manu militari della Striscia di Gaza e la mano libera lasciata alle frange estremiste dei coloni in Cisgiordania non ci fa dimenticare che tutto questo risponde, in ogni caso, a un preciso progetto politico.

A un progetto politico, per quanto fuori di testa, in democrazia va sempre contrapposto un progetto politico credibile e alternativo. Non si tratta di sbattere sulle formule, a cominciare da quella “Due popoli, Due Stati” ancora così cara alle cancellerie europee soprattutto perché utile a coprire l’oggettiva irrilevanza dei nostri governi in una partita in cui si gioca un bel pezzo del nostro stesso futuro.

Si tratta di presentare alla società israeliana un’idea del Paese che sappia andare oltre quella del conflitto perenne, che è la condizione scelta con lucidità e cinismo dal premier Netanyahu. Più è costante la guerra, nelle sue diverse forme, più resta costante il potere di Benjamin Netanyahu.

Quella folla a Tel Aviv che idea ha di Israele? Come pensa di sviluppare l’inevitabile convivenza con gli arabi? Chi sono i suoi leader? Chi sta lavorando per costruire un’alternativa a Bibi? Essere in grado di fornire delle risposte è cruciale, perché in questa capacità ci può essere tutta la differenza fra un moto spontaneo di rabbia e ribellione e una via d’uscita dalle secche che rischiano di inghiottirci tutti.

di Fulvio Giuliani

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