Israele-Palestina, quel che si tace
C’è un tratto che accomuna le prese di posizione pro-Palestina e pro-Israele: l’omissione di elementi cruciali della questione palestinese. Vediamone alcuni
| Esteri
Israele-Palestina, quel che si tace
C’è un tratto che accomuna le prese di posizione pro-Palestina e pro-Israele: l’omissione di elementi cruciali della questione palestinese. Vediamone alcuni
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Israele-Palestina, quel che si tace
C’è un tratto che accomuna le prese di posizione pro-Palestina e pro-Israele: l’omissione di elementi cruciali della questione palestinese. Vediamone alcuni
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C’è un tratto che accomuna le prese di posizione pro-Palestina e pro-Israele: l’omissione di elementi cruciali della questione palestinese. Vediamone alcuni
Non esiste giustificazione alcuna per quel che Hamas ha fatto il 7 ottobre. Lo Stato di Israele ha il diritto di esistere. I palestinesi hanno diritto a un loro Stato. Questi sono, per me, gli unici punti fermi di una posizione ragionevole sulla questione palestinese. Su tutto il resto è lecito discutere. Ma discutere come? Possibilmente non come si è fatto fin qui da entrambe le parti.
C’è un tratto, infatti, che accomuna la maggior parte delle prese di posizione pro-Israele e pro-Palestina: l’accurata omissione di elementi cruciali (e scomodi per una delle due parti) della questione palestinese. Vediamone alcuni.
Chi parteggia per i palestinesi quasi sempre dimentica almeno quattro fatti.
Primo, che la soluzione salomonica dell’Onu nel 1947, con la creazione di uno Stato ebraico e uno Stato arabo, fu accettata (a larghissima maggioranza) dalla comunità ebraica e respinta dai palestinesi e dagli altri Stati arabi circostanti. Secondo, che la guerra del 1948 che ne seguì fu il primo tentativo di cancellare lo Stato di Israele dalla Palestina. Terzo, che lo Statuto di Hamas del 1988 prevede di fatto tale cancellazione. Quarto, che i palestinesi non hanno una rappresentanza politica unitaria perché – dopo le elezioni del 2006 a Gaza (vinte da Hamas) e la guerra civile che ne è seguita – le due principali organizzazioni (Hamas e l’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen) sono in feroce competizione fra loro e rifiutano di sottoporsi a libere elezioni.
Ma anche i difensori di Israele hanno le loro dimenticanze.
Il primo ‘non detto’ è che, di guerra in guerra, i territori occupati da Israele si sono enormemente ampliati: nella partizione dell’Onu del 1947 la quota di Israele era del 56%, mentre oggi sfiora il 90% del territorio complessivo che ospita israeliani e palestinesi.
Il secondo ‘non detto’ è che, di fatto, la Striscia di Gaza (governata da Hamas) non è affatto un territorio autonomo perché tutti gli ingressi e tutte le uscite (tranne quella verso l’Egitto) sono rigidamente controllati da Israele.
Il terzo ‘non detto’ è che gli insediamenti dei coloni israeliani in Cisgiordania sono così diffusi e capillari da rendere praticamente impossibile la costruzione di uno Stato palestinese di dimensioni accettabili. Allo stato attuale l’unico embrione di Stato palestinese è l’area A della Cisgiordania, che è sotto il controllo dell’autorità palestinese (Abu Mazen) ma copre appena il 3,6% dell’intera Palestina (Israele + Gaza + Cisgiordania) e inoltre è priva di continuità territoriale, in quanto sistematicamente punteggiata da insediamenti israeliani.
Conclusione. È vero che, in astratto, la soluzione “due popoli, due Stati” è l’unica ragionevole. Ma è ipocrita parlarne come se bastasse un atto di buona volontà politica per realizzarla. Anche se Hamas sparisse dalla faccia della terra, il mondo arabo riconoscesse il diritto di Israele di esistere e l’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen prendesse il controllo della Striscia di Gaza (come da qualche giorno si favoleggia), resterebbe il problema della Cisgiordania, dove ci sono 500mila coloni israeliani che sarà quasi impossibile convincere a ritirarsi. Per non parlare dello status di Gerusalemme, dal 1980 annessa a Israele, in cui risiedono circa 200mila ebrei e altrettanti arabi. Anche se – oltre a Gaza – Israele dovesse cedere ai palestinesi Gerusalemme Est, l’intera area A e l’intera area B della Cisgiordania e tutti i coloni dovessero ritirarsi da questi territori, allo Stato palestinese spetterebbe poco più del 10% della Palestina.
Come dire: a Israele la Lombardia, ai palestinesi la Valle d’Aosta. In queste condizioni, il massimo realisticamente concepibile è una soluzione a due Stati asimmetrica: uno Stato a Israele, uno Staterello ai palestinesi. Basterà a portare la pace?
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