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J. D. Vance, una banderuola di successo

Giulio Andreotti diceva che «l’importante è scegliersi bene i propri ascendenti». Bisogna riconoscere che l’attuale vice presidente degli Stati Uniti, J.D. Vance, è stato meno fortunato, come lui stesso riconosce

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J. D. Vance, una banderuola di successo

Giulio Andreotti diceva che «l’importante è scegliersi bene i propri ascendenti». Bisogna riconoscere che l’attuale vice presidente degli Stati Uniti, J.D. Vance, è stato meno fortunato, come lui stesso riconosce

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J. D. Vance, una banderuola di successo

Giulio Andreotti diceva che «l’importante è scegliersi bene i propri ascendenti». Bisogna riconoscere che l’attuale vice presidente degli Stati Uniti, J.D. Vance, è stato meno fortunato, come lui stesso riconosce

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Giulio Andreotti diceva che «l’importante è scegliersi bene i propri ascendenti». Bisogna riconoscere che l’attuale vice presidente degli Stati Uniti, J.D. Vance, è stato meno fortunato, come lui stesso riconosce

A chi gli domandò come facesse alla sua bella età ad essere ancora in forma, Giulio Andreotti se la cavò con un paradosso: «L’importante è scegliersi bene i propri ascendenti». Bisogna riconoscere che l’attuale vice presidente degli Stati Uniti è stato meno fortunato. Non lo sosteniamo noi, sia chiaro. Lo dice apertis verbis lo stesso James David Vance nella fortunata autobiografia dal titolo “Elegia americana”. Traduzione castigata del titolo originale “Hillbilly Elegy: A Memoir of a Family and Culture in Crisis”. E hillbilly in italiano può essere tradotto con “bifolco”, “zoticone”, “campagnolo”. Un tipo, l’autore, che si è poi comportato di conseguenza. Perché nel confronto con Zelensky non si è certo atteggiato a damerino.

Ma perché il Nostro è stato perseguitato dalla iella? Per il semplice motivo che da piccolo è stato allevato (si fa per dire) da ascendenti alquanto sfigati. I nonni, poveri e innamorati, emigrati dal Kentucky nell’Ohio, sono alcolizzati. Il padre, violento, pianta la famiglia. La madre combatte con la droga e passa da un amorazzo a un altro. Il ragazzo non si arrende e si arrabatta come può. Fortuna vuole che in America l’ascensore sociale funzioni per davvero.

Valga la storiella ambientata ai tempi della Grande Depressione: un povero diavolo, in fila per rimediare una minestra offerta dal Comune, è coperto di fango da una grossa auto di passaggio in una giornata di pioggia e a chi gli sta accanto, che lo invita a reagire, replica: «Ma no, presto anche io avrò un’auto come quella». Dopo uno studio matto e disperatissimo, Vance ottiene due lauree e inizia una carriera che lo porterà a diventare governatore dell’Ohio. E adesso ancora più in alto.

Ben presto si mette in luce, con i suoi pregi e difetti. L’uomo è ambizioso. Ama essere al centro dell’attenzione, come un Massimo D’Alema per il quale «il capotavola è dove mi siedo io». E già sogna di succedere a Trump. Del resto, è un predestinato perché tra i suoi nomi c’è quello ereditato dal padre: vedi caso, Donald. Ma è anche parecchio disinvolto. Cambia opinione spesso e volentieri, come il mitico Leopoldo Fregoli si cambiava d’abito. C’era un tempo in cui dava dell’idiota a Trump. E, durante il suo primo mandato, non gliene risparmiava una. Mentre adesso per lui Trump è un intoccabile, al di sopra delle leggi alle quali debbono obbedire i comuni mortali. E poi, nella sceneggiata allo Studio Ovale, rimprovera Zelensky perché – a suo insindacabile giudizio – non rispetterebbe il Presidente. Ma guarda un po’ chi parla.

La predetta sceneggiata presenta parecchie anomalie. Il processo di stampo staliniano intentato a Zelensky è ripreso dalle televisioni allo scopo di umiliarlo coram populo. Mentre sarebbe stato opportuno che tutto si svolgesse dietro le quinte. E poi non si capisce perché il prezzemolino Vance si sia intromesso di continuo tra Trump e Zelensky. A che titolo, di grazia? Un interrogativo sospeso a mezz’aria senza uno straccio di risposta.

Alla domanda di un giornalista se Trump non sia troppo «allineato» con Putin, ecco che s’intromette Vance: «Voglio rispondere a questo». E giù un ceffone al galantuomo Joe Biden. Esalta la diplomazia che porrà fine alla distruzione dell’Ucraina. Redarguisce Zelensky, con una faccia di bronzo degna di meritare una citazione nel “Dizionario delle banderuole”, perché poco rispettoso nei riguardi del Presidente. Accusa il presidente dell’Ucraina di portare le persone a fare un tour propagandistico nel suo Paese. Ancora: «Hai mai detto “grazie” una sola volta?». E aggiunge che Zelensky avrebbe fatto in ottobre campagna elettorale in Pennsylvania per i democratici.

Per allenarsi allo scontro, alla conferenza di Monaco sulla sicurezza il 14 febbraio scorso Vance aveva accusato i leader europei di minare i valori democratici. Ma il troppo stroppia. Con il risultato che i connazionali lo invitano ad andare a sciare in Russia, i democratici sono sul piede di guerra, i repubblicani mormorano e Giorgia Meloni comincia a rimpiangere, anche se non lo può dire, Biden.

Di Paolo Armaroli

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