Skip to main content
Scarica e leggi gratis su app

Khmelnytskyj conta i morti, ma non più le promesse altrui

|

Khmelnytskyj: 719 ragazzi e quel messaggio ripetuto altrettante volte: “Morì difendendo l’Ucraina dagl’invasori russi” – LE IMMAGINI

Khmelnytskyj conta i morti ma non le promesse altrui

Khmelnytskyj conta i morti, ma non più le promesse altrui

Khmelnytskyj: 719 ragazzi e quel messaggio ripetuto altrettante volte: “Morì difendendo l’Ucraina dagl’invasori russi” – LE IMMAGINI

|

Khmelnytskyj conta i morti, ma non più le promesse altrui

Khmelnytskyj: 719 ragazzi e quel messaggio ripetuto altrettante volte: “Morì difendendo l’Ucraina dagl’invasori russi” – LE IMMAGINI

|

Khmelnytskyj – Novanta ottagoni in fila formati con stand alti un paio di metri, ciascuno recante l’effige d’un eroe nato in questa città seguita dalla scritta «Morí difendendo l’Ucraina dagl’invasori russi». Un solo pannello, il primo, raffigura un angelo dalle grandi ali gialloblu che vola in cielo tenendo una spada nella mano destra e un grande scudo col tryzub nella sinistra, ribadendo recisamente che tutti quei difensori sono morti «per l’Ucraina». Un concetto ormai sempre più divulgato e largamente condiviso dalla popolazione, subentrato a quelli che valorizzavano atti di rinuncia, dedizione, abnegazione e immolazione simili per la difesa di valori comuni al mondo libero. Gli sguardi di quei 719 ragazzi e quel messaggio, ripetuto altrettante volte con parole e sfumature diverse, accolgono i visitatori di Khmelnytskyj e li accompagnano per tutto il suo centro storico, rispecchiando più lo spirito dei vivi che dei morti.

Negli ultimi 43 mesi di questi dodici anni di guerra l’Ucraina ha capito d’esser sola, di combattere per sé stessa e di doversi organizzare al meglio affinché le proprie garanzie di sicurezza non dipendano da altri Paesi. A confermare quest’assunto è la direttrice del più importante ospedale pediatrico della città, danneggiato dai russi in un raid contro le infrastrutture civili locali che ha messo a ripentaglio la vita di centinaia bambini lì ricoverati. «Non c’è una sola famiglia, qui, che non abbia sofferto a causa della guerra. Tutti i degenti hanno il padre o la madre al fronte. Qualcuno ha già perso un fratello. Molti non hanno mai visto parte del proprio nucleo familiare perché quando sono nati i russi li tenevano già in ostaggio nei territori dell’Ucraina che occupano» spiega la dottoressa a capo di quell’infrastruttura sanitaria, ricordando come i suoi stessi affetti più cari si trovino al fronte.

Quando le chiediamo di stilare una lista del materiale di prima necessità più richiesto, ci spiega che – al di là dei medical device per la rianimazione e il primo soccorso – l’urgenza riguarda i cosiddetti pain killer e l’assistenza psicologica. «Le ferite che lasciano certi traumi sono così profonde da toccare corde della psiche umana che la Medicina, da sola, non può guarire. Serve l’approccio di psicologi formati qui, in grado di comprendere dinamiche che altri, per quanto bravi, non possono conoscere a distanza. Venite con me in corsia e vedrete proprio ora decine di psicologi lavorare coi bambini e con le loro famiglie. Senza quel prezioso aiuto un’intera generazione d’ucraini sarebbe a rischio, con ripercussioni gravi su quelle successive» aggiunge, appellandosi a quei leader che qualcosa invece possono e devono fare: «Smettere di finanziare il terrorismo russo non facendo più affari con Mosca».

Ai residenti di Khmelnytskyj non bastano i medicinali; servono persone capaci di capire cosa voglia dire crescere sotto le bombe, ma anche che chi si definisce ‘alleato’ dell’Ucraina la smetta d’alimentare la macchina che la distrugge. «È l’unico modo per risolvere il problema alla radice senza spendere ulteriori risorse per tamponare i danni che produce» incalza la responsabile per le relazioni esterne dell’ospedale, prendendo a esempio le associazioni di volontariato: «I volontari sono la nostra risorsa più preziosa. Sono stati i primi ad aiutarci, continuano a esser presenti, conoscono il territorio e problematiche spesso condivise. Loro sì, non hanno mai fatto altro che del bene. Gli saremo sempre infinitamente grati».

La sfiducia verso le istituzioni politiche estere è tale che ben pochi qui in Ucraina prestano fede a promesse fatte da quel pulpito. «Spiegatemi per favore qual è il senso di quelle fatte a Budapest, nel 1994» ci ha chiesto un giovane proprio prima di partire per Zhytomyr. «Ce lo devono i leader dei Paesi che hanno sottoscritto quegli accordi, perché mentre è misurabile ciò di cui noi ci siamo privati e il danno che quell’azzardo ha prodotto, non è chiaro cos’abbiamo ricevuto in cambio. Dunque la smettano di dire che ci difendono, perché è semmai vero il contrario. Pagano il bastone che ci percuote e poi ci mandano i cerotti».

Arrancare fra quelle domande e le effigi di 719 giovani che hanno pagato il prezzo più alto a causa di promesse vane tutt’oggi reiterate è imbarazzante ma aiuta a comprendere come siano cambiate le cose negli ultimi 43 mesi di guerra.

Basta parlare con gli esercenti delle attività commerciali locali d’una città un tempo sovietica come Khmelnytskyj, coi soldati che s’incrociano per le sue strade, i dirigenti delle sue infrastrutture civili, i responsabili delle amministrazioni militari ma anche chi s’incontra al mercato o a un posto di blocco, per capire che l’umore è cambiato e che l’Ucraina non vuol più far dipendere le proprie capacità di difesa da Paesi le cui politiche possono essere stravolte in una tornata elettorale e i cui impegni presi possono esser rivisti per assecondare interessi lontani da qui. Khmelnytskyj conta i morti ma non conta più sulle promesse altrui. Tra i volti dei suoi caduti e i sorrisi dei bambini sopravvissuti, qui prende forma una nuova coscienza nazionale: la sicurezza non si delega.

Di Alla Perdei e Giorgio Provinciali

La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!

Leggi anche

18 Ottobre 2025
Un semplice quesito giornalistico è bastato per scoperchiare il vaso di Pandora della nuova comuni…
18 Ottobre 2025
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha ordinato che il valico di Rafah, al confine tra la Str…
18 Ottobre 2025
Un qualsiasi negoziato con Putin non può che nascere da un presupposto: l’Occidente, e segnatament…

Iscriviti alla newsletter de
La Ragione

Il meglio della settimana, scelto dalla redazione: articoli, video e podcast per rimanere sempre informato.

    LEGGI GRATIS La Ragione

    GUARDA i nostri video

    ASCOLTA i nostri podcast

    REGISTRATI / ACCEDI