L’Iran subisce il colpo politico ed economico
Le speculazioni sulla possibilità di un attacco israeliano ai siti nucleari dell’Iran sono state fatte per anni, ma negli ultimi giorni erano diventate più plausibili
L’Iran subisce il colpo politico ed economico
Le speculazioni sulla possibilità di un attacco israeliano ai siti nucleari dell’Iran sono state fatte per anni, ma negli ultimi giorni erano diventate più plausibili
L’Iran subisce il colpo politico ed economico
Le speculazioni sulla possibilità di un attacco israeliano ai siti nucleari dell’Iran sono state fatte per anni, ma negli ultimi giorni erano diventate più plausibili
Le speculazioni sulla possibilità di un attacco israeliano ai siti nucleari iraniani sono state fatte per anni, ma negli ultimi giorni erano diventate più plausibili. Un momento di svolta è stato l’allarme dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea). Che giovedì – a pochi giorni da un round di negoziati con gli Stati Uniti – ha dichiarato per la prima volta in vent’anni che l’Iran non stava rispettando gli obblighi del trattato di non proliferazione nucleare.
L’attacco di Israele all’Iran è stato molto più vasto e distruttivo delle operazioni dello scorso anno. Stavolta Tel Aviv ha adottato una strategia simile a quella usata nell’offensiva di novembre 2024 in Libano contro gli Hezbollah. Quando ha annichilito i vertici della milizia sciita.
I bombardamenti e le azioni mirate non hanno soltanto colpito i siti nucleari e le postazioni missilistiche dell’Iran – e quindi la sua capacità di reagire – ma hanno anche eliminato i membri chiave della leadership militare e scientifica iraniana. Nonché Ali Shamkhani, il principale consigliere politico della Guida suprema Ali Khamenei. Un uomo più insostituibile di qualsiasi generale o scienziato. L’architetto dei negoziati sul nucleare – fin dal Jcpoa siglato dieci anni fa – e dell’economia dell’aggiramento delle sanzioni. In totale si parla della morte di dozzine di persone tra capi di Stato Maggiore, comandanti dei Guardiani della rivoluzione e scienziati nucleari. Per l’élite iraniana è un danno senza precedenti. Che impone una risposta altrettanto feroce ma che allo stesso tempo la limita, dal punto di vista sia decisionale che operativo.
Con questa operazione Israele sembra aver fatto una grande scommessa. L’argomento di Tel Aviv è che non ci fosse altra scelta. Poiché questa era la migliore – e forse ultima – possibilità per impedire all’Iran di avere armi nucleari. Ma quando il ciclo di rappresaglie sarà terminato il regime tornerà a lavorare per dotarsi dell’atomica. Visto che l’attacco non ha annientato il suo programma nucleare. Tuttavia, per l’Iran le cose possono peggiorare. Donald Trump ha dato un ultimatum agli ayatollah dicendogli di tornare a negoziare, altrimenti subiranno altri attacchi israeliani. Un invito respinto da Teheran. Nel caso più estremo, ma realistico, Washington potrebbe dare a Tel Aviv i mezzi per colpire i siti nucleari iraniani più protetti. Quelli situati in bunker scavati sotto alle montagne.
Poi c’è l’economia, globale e iraniana. L’attacco ha fatto aumentare di circa il 12% i prezzi del petrolio (in calo da mesi), senza però creare sconvolgimenti estremi paragonabili a quelli dell’invasione russa dell’Ucraina. Il pericolo maggiore è che si arrivi a un conflitto allargato a tutto il Medio Oriente che porti alla chiusura dello Stretto di Hormuz, uno degli snodi più importanti dell’industria petrolifera, la rotta marittima da cui passano le forniture dell’Arabia Saudita. In quel caso gli Usa dovrebbero intervenire militarmente e immettere sul mercato le scorte di greggio della loro riserva nazionale.
Forse l’obiettivo più ambizioso di Israele è innescare un cambio di regime a Teheran: una possibilità che diventerebbe maggiore di fronte all’implosione dell’economia dell’Iran, in crisi nera da anni. Due settimane fa i camionisti iraniani hanno bloccato strade e porti per protestare contro i salari bassi (spazzati via dall’inflazione al 39%) e l’annuncio del governo di un aumento dei carburanti (in un Paese fra i maggiori produttori mondiali di greggio). Una protesta sostenuta dai dissidenti in patria e all’estero, nonostante la stretta repressiva di un regime che nel solo 2024 ha eseguito 901 condanne a morte.
di Federico Bosco
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