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Ue Trump

L’Ue riflette su Trump

In Ue tiene banco l’affermazione oltreoceano di Donald Trump che sta creando non pochi grattacapi presso le cancellerie del Vecchio Continente

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In Ue tiene banco l’affermazione oltreoceano di Donald Trump che sta creando non pochi grattacapi presso le cancellerie del Vecchio Continente

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In Ue tiene banco l’affermazione oltreoceano di Donald Trump che sta creando non pochi grattacapi presso le cancellerie del Vecchio Continente

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In Ue tiene banco l’affermazione oltreoceano di Donald Trump che sta creando non pochi grattacapi presso le cancellerie del Vecchio Continente

Sembra quasi paradossale che un incontro così importante avvenga nella Budapest di Viktor Orbán. Eppure nell’elegante città sul Danubio, al vertice della Comunità politica europea – format allargato che accoglie anche Paesi esterni all’Unione – non ha voluto mancare neanche Volodymyr Zelensky, la cui partecipazione era stata messa in dubbio da alcuni osservatori per le posizioni del premier ungherese, vicino a Mosca. Nonostante i temi sul tavolo siano diversi, a tenere banco è inevitabilmente l’affermazione oltreoceano di Donald Trump, che sta creando non pochi grattacapi presso le cancellerie del Vecchio Continente: il tycoon ha esagerato in campagna elettorale per consolidare il consenso (già forte) nell’America profonda? Oppure terrà fede alle promesse, aprendo una nuova crisi nelle relazioni transatlantiche? Oltre ai piani per l’imposizione di dazi su tutti i prodotti di fabbricazione straniera che entrano negli Stati Uniti, preoccupano le posizioni in politica estera: negli scorsi mesi Trump ha minacciato di rivedere l’assistenza militare e finanziaria di Washington a Kyiv e si è vantato – in quella che è sembrata ad alcuni una provocazione, ad altri una minaccia – di incoraggiare il Cremlino a «fare quel che vuole» ai danni dei membri dell’Alleanza Atlantica che non rispettano l’obiettivo di spesa del 2%. Inoltre, la promessa di «terminare in un giorno» la guerra in Ucraina alimenta il timore che “The Donald” intenda concedere ai russi le porzioni di territorio sotto il loro controllo.

In generale, la possibilità di un progressivo disimpegno americano dal fianco orientale spaventa quasi tutti i leader europei, che arrivano però al summit con stati d’animo differenti. La singolare decisione di ospitare i lavori presso la Puskas Arena – imponente stadio teatro quattro anni fa di alcuni incontri degli Europei di calcio – favorisce un’ironica metafora sportiva: molti dei ‘giocatori’ appartengono alla stessa squadra, ma non tutti scendono in campo con le stesse preoccupazioni. Se Emmanuel Macron chiede all’Europa di «svegliarsi» e «cominciare a difendere i propri interessi» e Olaf Scholz si ritrova impantanato in una crisi di governo che potrebbe condurre Berlino al voto anticipato, Giorgia Meloni sembra vantare una serenità differente. In un momento in cui persino Londra teme per la sua ‘relazione speciale’ con il tradizionale alleato, Roma si propone come mediatrice fra i due mondi, complici le affinità politiche e la forte amicizia della presidente del Consiglio con Elon Musk, proiettato verso un ruolo centrale nella nuova amministrazione. Nell’esecutivo non mancano le voci realiste. Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha sottolineato come spetti ora all’Italia e all’Europa fare la propria parte dal punto di vista nazionale e collettivo: «Non dobbiamo attendere che ci pensino gli americani, dobbiamo dimostrare di essere disposti per primi a garantire la nostra sicurezza».

Coniugare i due approcci potrebbe passare per un duplice binario: lasciare ai singoli Paesi giurisdizione sulle problematiche che possono affrontare da soli e, al tempo stesso, unire le forze per affrontare i dossier più urgenti e spinosi. La prospettiva di fare debito comune per supportare le politiche di riarmo – suggerita anche nel rapporto confezionato da Mario Draghi, che ha ribadito ai giornalisti come «non sia più possibile posporre le decisioni» – continua però a non piacere alla Germania e ai suoi partner, rigoristi sui conti. Degna di attenzione è stata anche la tavola rotonda sulle migrazioni, presieduta dal cancelliere austriaco Karl Nehammer. Sul tema Roma e Vienna hanno già fatto sapere di «andare nella stessa direzione».

di Federico Mari

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