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La Francia cerca ancora un equilibrio

La Francia aspetta ancora un governo e la tregua olimpica non è riuscita a calmare una situazione che diventa sempre più incandescente con il passare dei giorni

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La Francia aspetta ancora un governo e la tregua olimpica non è riuscita a calmare una situazione che diventa sempre più incandescente con il passare dei giorni

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La Francia aspetta ancora un governo e la tregua olimpica non è riuscita a calmare una situazione che diventa sempre più incandescente con il passare dei giorni

La Francia aspetta ancora un governo e la tregua olimpica non è riuscita a calmare una situazione che diventa sempre più incandescente con il passare dei giorni. Il partito di Emmanuel Macron è diviso tra chi guarda con favore alle proposte del Noveau Front populaire (elogiando la candidatura di Lucie Castets, nonostante qualche perplessità sul suo controverso programma fiscale) e la fazione che spinge per un esecutivo di minoranza con la destra repubblicana, un blocco che sembra aver trovato la chiave di volta nella figura di Xavier Bertrand, presidente della regione dell’Alta Francia e scelta preferenziale del ministro degli Interni Gérald Darmanin.

Questo scontro tra le due anime di Renaissance ha egemonizzato il dibattito francese, ma entrambe le strade implicano delle difficoltà non ignorabili, che rendono la partita politica più complessa di un semplice derby tra destra e sinistra. Quest’ultima ha indicato Castets per un motivo molto semplice: la coalizione di sinistra ha già fallito in passato per i personalismi dei partiti che la compongono e per le personalità tanto ingombranti quanto controverse che l’hanno rappresentata; per questo occorre un volto nuovo capace di convincere l’apparato istituzionale. Ma le speranze sono state rese vane da Jean-Luc Mélenchon, capo politico de La France insoumise e fu leader della Nupes (Nouvelle Union populaire écologique et sociale), che con le sue bordate continua a minare la credibilità dello schieramento progressista. L’ultima è arrivata per procura, attraverso le parole del suo braccio destro Sophia Chikirou, che pochi giorni fa ha commentato sui suoi canali ufficiali l’assassinio di Isma’il Haniyeh, definendo il defunto comandante di Hamas «un martire della resistenza palestinese». Chikirou non è nuova a uscite del genere – in passato si era espressa contro la rappresentazione giornalistica del regime siriano di Bashar al-Assad – perfettamente in linea con l’indirizzo perseguito da Lfi, l’unico partito che non ha condannato i responsabili del massacro avvenuto lo scorso 7 ottobre in Israele. 

La strategia di Mélenchon è chiara da tempo: strizzare l’occhio all’antagonismo militante per tentare di conservare uno spazio politico velleitario. Finora l’unico risultato di questa operazione è far perdere terreno agli alleati – Castets in primis – e avvantaggiare l’alternativa gollista. Ma anche quest’ultima ha le sue problematicità.

I Repubblicani sono ancora alle prese con il caso Éric Ciotti, presidente (non riconosciuto da buona parte degli iscritti) del Partito e artefice della discussa alleanza con il Rassemblement national oltre che autore della tragicomica occupazione della sede centrale repubblicana durante la campagna elettorale. La dirigenza ha cercato di cacciarlo ricorrendo ai tribunali, ma Ciotti resta al suo posto e attacca chi, come il suo rivale Laurent Wauquiez, vorrebbe rendere la destra una «pedina della maggioranza macronista» minacciando la scissione dei suoi fedelissimi. Meglio essere pedine di Le Pen, evidentemente. 

Questo conflitto tra filogovernativi e sostenitori del ritorno all’opposizione non fa che indebolire i Repubblicani ostacolandone il possibile ruolo (fondamentale) nel nuovo esecutivo. Le lotte intestine e le schegge impazzite peggiorano la crisi politica francese, dalla quale esce un solo dato certo: finita la crociata anti-Le Pen, il Fronte repubblicano è morto.

di Antonio Pellegrino

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