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La guerra Usa alle iniziative ispirate a diversità, equità e inclusione

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L’amministrazione americana ha cancellato in un colpo solo decenni di politiche di diversità, equità e inclusione. Non ridimensionate: eliminate

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La guerra Usa alle iniziative ispirate a diversità, equità e inclusione

L’amministrazione americana ha cancellato in un colpo solo decenni di politiche di diversità, equità e inclusione. Non ridimensionate: eliminate

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La guerra Usa alle iniziative ispirate a diversità, equità e inclusione

L’amministrazione americana ha cancellato in un colpo solo decenni di politiche di diversità, equità e inclusione. Non ridimensionate: eliminate

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Un giorno qualunque ti svegli, apri gli occhi, accendi il telefono e leggi notizie che sembrano uscite da un romanzo distopico. L’amministrazione americana ha cancellato in un colpo solo decenni di politiche di diversità, equità e inclusione. Non ridimensionate: eliminate. Un ordine esecutivo spazza via ogni iniziativa “Dei” (diversity, equity, inclusion) nelle agenzie governative.

Il Dipartimento di Giustizia parte all’attacco anche delle aziende private, minacciando indagini e cause. Il Dipartimento di Stato, tramite le ambasciate, scrive a multinazionali europee e semplici fornitori intimando di allinearsi, pena l’addio ai contratti con l’amministrazione. Lo Stato per anni simbolo di democrazia e opportunità mette oggi all’indice chi quel sogno ha cercato di renderlo accessibile a tutti. Il messaggio è chiaro e spaventoso: l’inclusione è diventata un peso. Da un giorno all’altro cambiano i toni, il linguaggio, la narrazione. I diritti diventano privilegi. Le lotte, minacce. Le diversità, un fastidio. Chi lavora per l’inclusione diventa un nemico.

E noi? Sorpresi. Frastornati. Le aziende reagiscono in ordine sparso. Alcune (molte) scelgono la sottomissione linguistica: via “inclusione”, largo al “talento”. Non più “equità”, ma “merito”. Dicono che il contenuto resta lo stesso. Ma le parole hanno un peso. La domanda vera, quella che brucia, è: perché stiamo accettando tutto questo? Perché lasciamo che un uomo, simbolo di un sistema suprematista bianco, imponga la sua visione distorta al mondo intero? Perché ci stiamo facendo schiacciare da un ordine esecutivo che vuole riportarci indietro di vent’anni?

Non possiamo accettarlo. Non dobbiamo accettarlo. Abbiamo lottato troppo. Abbiamo costruito spazi di lavoro più inclusivi in cui donne, persone nere, queer, con disabilità o background migratori hanno iniziato – solo iniziato – a vedere uno spiraglio. E ora ci dicono che tutto questo non va più bene. Che l’inclusione è una deviazione, che l’equità è discriminazione al contrario, che parlare di razzismo è razzista, che nominare il patriarcato è sessismo. E nascondono tutto dietro gli eccessi della cultura woke. Che ci sono stati, eccome se ci sono stati; il punto è riconoscerli come tali e combatterli.

Nel suo alto discorso di giovedì scorso, il primo in pubblico dopo mesi, Barack Obama ha messo il dito in molte piaghe di oggi e di ieri: «L’idea di impedire a un oratore di parlare, anche se dice cose che trovo odiose, non è ciò che l’America dovrebbe essere. Lo lasci parlare e poi gli spieghi perché ha torto. Tutte le aziende dicevano di tenere alla diversità, alla giustizia sociale. E adesso? Tutti zitti: questo mi dice che andava bene finché era di moda, finché era comodo».

Le politiche “Dei” non sono una moda. Sono giustizia. Sono l’unico modo per rendere sostenibile la nostra economia e la nostra società. Non è una questione tecnica. È un attacco ideologico. Frontale. Violento. Chi guida questa crociata vuole restaurare un ordine vecchio, ingiusto. Perché un mondo inclusivo ridistribuisce potere. E chi ha sempre avuto tutto teme anche solo di condividerlo.

Le politiche “Dei” sono sotto attacco perché funzionano. Perché cambiano come si assume, si promuove, si forma. Perché mettono in discussione meccanismi invisibili ma potentissimi. Questo attacco va respinto con idee per migliorare quelle politiche stesse e soprattutto evitare le esagerazioni, che oggi sono un invito a nozze per populisti e sovranisti.

Non possiamo lasciare che la paura zittisca l’impegno. Ci vogliono far tornare indietro, ma noi abbiamo imparato ad andare avanti. Con fatica e coraggio. Perché nessun ordine esecutivo potrà mai cancellare ciò che milioni di persone hanno costruito con battaglie, storie, coraggio. Non torneremo indietro. Non lo faremo mai.

Di Federica Marotti

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