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La lezione che ci arriva dall’Ucraina

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In questi giorni l’Ue ha dichiarato che il regime russo dovrà rendere conto non solo dei crimini perpetrati ma anche dei danni arrecati. Ci sono oltre 500 miliardi di beni russi bloccati in Occidente

La lezione che ci arriva dall’Ucraina

In questi giorni l’Ue ha dichiarato che il regime russo dovrà rendere conto non solo dei crimini perpetrati ma anche dei danni arrecati. Ci sono oltre 500 miliardi di beni russi bloccati in Occidente
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La lezione che ci arriva dall’Ucraina

In questi giorni l’Ue ha dichiarato che il regime russo dovrà rendere conto non solo dei crimini perpetrati ma anche dei danni arrecati. Ci sono oltre 500 miliardi di beni russi bloccati in Occidente
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Un anno fa pochi in Occidente si aspettavano che il Davide ucraino potesse tener testa o addirittura battere il Golia russo. I nostri strateghi hanno dunque molto da imparare da questi lunghi mesi di guerra. Ci sovviene la salace battuta di Groucho Marx: «Military intelligence is a contradiction in terms». A detta degli esperti, i “piedi d’argilla” dell’armata russa hanno varie origini: corruzione sistematica nel complesso militare-industriale, basso morale, rigidità delle strutture di comando, tendenza inveterata a mentire e occultare la realtà per compiacere i superiori, incapacità di mutare strategia se quella seguita non dà risultati positivi, coscritti deliberatamente usati come “carne da cannone”. Con la determinazione e l’efficacia della loro resistenza, gli ucraini hanno smentito nel sangue la principale tesi dell’aggressore: sono una nazione, non una colonia e meritano indipendenza, libertà e rispetto. Ovviamente le armi fornite dalla Nato sono state determinanti, ma da sole non sarebbero bastate. Crogiolarsi nella scoperta della debolezza strutturale dell’avversario sarebbe tuttavia un errore tragico per l’Europa, stupidità politica prima che militare. I tedeschi hanno approvato uno stanziamento addizionale di cento miliardi per la difesa, ma non sono stati sinora capaci di decidere come utilizzarli. L’Italia ha confermato l’intenzione di portare la spesa militare al 2% del Pil… entro il 2028, ma non è chiaro come. L’Ue ha finalmente riconosciuto la necessità vitale di una politica comune dell’energia, ma passare dai propositi ai fatti sembra una fatica di Sisifo. Biden ha superato la sfida del mid-term meglio del previsto, ma è ragionevole prevedere il ritorno di un repubblicano alla Casa Bianca nel 2025. Se prima di tale data non ci sarà pace in Ucraina, è ovvio che gli americani chiederanno agli europei di pagare di più. Il problema centrale, tuttavia, non è di “spendere” di più per la difesa ma di spendere e organizzarsi infinitamente meglio. E bisogna farlo a partire da oggi, non nel distante futuro. Anche noi abbiamo “piedi d’argilla” in materia di difesa, perché essa è stata considerata come la sommatoria di una serie di politiche nazionali piuttosto che come un problema comune. Per fortuna che c’è la Nato, perché se non ci fosse occorrerebbe inventarla e con i tempi della politica europea… ci metteremmo vent’anni. In questi giorni l’Ue ha dichiarato che il regime russo dovrà rendere conto non solo dei crimini perpetrati ma anche dei danni arrecati. Ci sono oltre 500 miliardi di beni russi bloccati in Occidente. Non sono forse sufficienti, ma sicuramente aiuteranno quando dalle distruzioni si passerà alla ricostruzione. Nel frattempo occorre fare di necessità virtù e affrontare la crisi energetica su scala europea, piuttosto che nazionale. E fare subito tesoro delle lezioni militari apprese, col sangue, in Ucraina: un Javelin batte un T90 ma costa molto meno, una fanteria equipaggiata con droni integrati con l’artiglieria mobile può essere più utile di un F35. Davide può battere Golia, ma una fionda high tech aiuta moltissimo. Di Ottavio Lavaggi

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