La pace vaticana
Oggi papa Bergoglio parla di pace ogni giorno, ma senza che vi sia alcuna azione diplomatica diretta della Chiesa
La pace vaticana
Oggi papa Bergoglio parla di pace ogni giorno, ma senza che vi sia alcuna azione diplomatica diretta della Chiesa
La pace vaticana
Oggi papa Bergoglio parla di pace ogni giorno, ma senza che vi sia alcuna azione diplomatica diretta della Chiesa
Oggi papa Bergoglio parla di pace ogni giorno, ma senza che vi sia alcuna azione diplomatica diretta della Chiesa
All’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso l’Unione Sovietica stava per invadere la Polonia della ribelle Solidarność di Lech Walesa. L’allora papa Giovanni Paolo II attivò i canali diplomatici della Santa Sede per far sapere ai sovietici che era pronto a lasciare il Vaticano e a recarsi al confine con la croce in mano. Ergendosi come barriera umana e morale all’eventuale atto di guerra. Molti analisti sostengono che quella minaccia così drammaticamente forte salvò la Polonia e il mondo occidentale da un conflitto che avrebbe potuto deflagrare su scala mondiale.
Oggi papa Bergoglio parla di pace ogni giorno, ogni ora. Ma appunto – con tutto il rispetto – ne parla senza che vi sia alcuna azione diplomatica diretta della Chiesa. Non certo per codardia, ci mancherebbe, ma per l’inutilità palese di richiami che appaiono come retorici e senza un costrutto politico reale. Lo sottolineo. Parlo col rispetto che anche un agnostico deve avere e non solo mostrare verso una figura diversa dalle altre perché, di fatto, un’icona vivente. Quella veste bianca che lo identifica subito come successore di Pietro è ben più che una semplice divisa: è un simbolo universale.
Per questo sentire e vedere quell’icona che promuove da San Pietro in mondovisione la trasmissione cui partecipa con tanto entusiasmo (“Che tempo che fa”) – tra un attore, un cantante e vecchie cariatidi dello spettacolo – ne sminuisce l’autorevolezza. Gli fa impersonificare uno dei tanti vip dello show business.
Se poi quella stessa istituzione millenaria che ogni pontefice rappresenta compare in collegamento al Festival di Sanremo, iniziando l’intervento con un caloroso “Carissimo Carlo” rivolto al conduttore Carlo Conti, il pontefice finisce per apparire come un venditore di idee che non hanno poi costrutto nella vita reale. Il tutto per parlare ovviamente di pace. Partendo dai bambini (Barbara D’Urso ha molto insegnato su quel fronte retorico). Inneggiando alla bellezza della musica come strumento di pace. Forzatamente dimenticando il significato politico di alcune sinfonie che, nonostante il commovente ricordo materno del papa, non sempre hanno rappresentato momenti di pace.
Bergoglio ha ribadito che «la guerra è sempre una sconfitta». Se questo alto concetto fosse del tutto vero, forse oggi parleremmo la lingua di Goethe. Lasciamo perdere la chiosa finale sulla «bella musica». Anche il papa, uomo di cultura e grande intelligenza, sa benissimo che da tempo la buona musica è sparita dagli spartiti. Tempo fa il maestro Muti, che di buona musica è sacerdote indiscusso, ha detto di non poterne più di sentir cantare nei recital il “Vincerò” che accompagna ormai ogni esibizione, compresa quella delle Frecce Tricolori. Nella mia modestia non ne posso più di sentir cantare “Imagine”, celeberrima canzone intonata all’Ariston in triplice lingua dalla cantante israeliana Noa e dall’artista palestinese Mira Awad, dopo l’intervento del Santo Padre.
La musica, dunque, come unione tra i popoli. A leggere certi testi presentati a Sanremo c’è da chiedersi se il papa – o chi per lui – li abbia analizzati. Perché la retorica a volte serve, ma spesso fa solo danni. A proposito: domenica c’è il derby d’Italia, Juventus-Inter. Decine di tv collegate da tutto il mondo. Non vorremmo che a qualcuno venisse l’idea di ripetere l’Ariston, per dirci che la guerra è brutta ed è sempre una sconfitta. Lo sappiamo, ma purtroppo non decidiamo noi.
Di Andrea Pamparana
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