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La radicalizzazione spaventa Trump, parla il generale Giorgio Cuzzelli 

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“Siamo di fronte a una radicalizzazione estrema dello scontro e a una crisi umanitaria drammatica” commenta Giorgio Cuzzelli

La radicalizzazione spaventa Trump, parla il generale Giorgio Cuzzelli 

“Siamo di fronte a una radicalizzazione estrema dello scontro e a una crisi umanitaria drammatica” commenta Giorgio Cuzzelli

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La radicalizzazione spaventa Trump, parla il generale Giorgio Cuzzelli 

“Siamo di fronte a una radicalizzazione estrema dello scontro e a una crisi umanitaria drammatica” commenta Giorgio Cuzzelli

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Come se non bastasse la crisi umanitaria a Gaza, due ‘incidenti’ in meno di 24 ore hanno aggravato la situazione: l’uccisione a Washington di due funzionari dell’Ambasciata di Israele e gli spari dell’esercito israeliano a Jenin, in Cisgiordania, che hanno coinvolto una delegazione di 25 diplomatici tra cui il viceconsole italiano. Il presidente statunitense Donald Trump ha subito commentato il primo episodio, sottolineando i rischi dell’antisemitismo. Più difficile la sua posizione riguardo la guerra a Gaza, specie di fronte all’operazione israeliana “Carri di Gedeone”.

«Siamo di fronte a una radicalizzazione estrema dello scontro e a una crisi umanitaria drammatica» commenta Giorgio Cuzzelli, docente di Sicurezza e studi strategici all’Università Lumsa di Roma, già generale di brigata dell’Esercito con esperienza in ambito Nato e missioni all’estero. «Tel Aviv sembra più isolata che mai, con un governo che sta perseguendo scelte che lasciano più che mai perplessi e sembra non abbiano portato finora ai risultati sperati».

Osserva Cuzzelli: «Posto che se Hamas avesse restituito gli ostaggi non si sarebbe arrivati a questo punto, all’indomani del 7 ottobre Israele si era posta tre obiettivi: eliminare l’organizzazione terroristica intesa come minaccia al Paese, ripristinare l’integrità e la sicurezza delle frontiere, riportare a casa gli ostaggi». Quanti di questi traguardi sono stati raggiunti? «Il tentativo di sradicare Hamas dalla Striscia è riuscito soltanto in parte, a fronte però di danni collaterali enormi in termini di perdite civili.

Lo stesso vale per il secondo obiettivo, visto che oggi Israele si trova ad affrontare ben 7 fronti aperti. Quanto agli ostaggi, rimangono la priorità per la popolazione israeliana, che continua a chiederne la liberazione». In assenza di risultati, le mosse di Netanyahu stanno creando problemi al suo stesso Paese: «Se c’è uno Stato che ha ragione di essere, quello è Israele. Ma oggi con le scelte del suo governo si sta alienando il sostegno di cui godeva fino a qualche tempo fa» precisa Cuzzelli. «Non c’è da stupirsi che si possano verificare episodi come quello di Washington, che al momento sembrano poco probabili in Europa, nonostante alcune manifestazioni pro-Pal, a tratti anche violente, ci siano state anche in Italia».

La scelta israeliana di percorrere la sola via militare non sembra dunque vincente: «Trattandosi di uno scontro insurrezionale, non si può risolvere che sul piano politico. È accaduto anche con il terrorismo ebraico in Palestina: alla fine la soluzione è stata politica, con la spartizione del territorio dopo la fine del mandato britannico. Non si può risolvere la crisi sulla pelle dei palestinesi. Invece sembra che Israele pensi a ‘balcanizzarne’ la popolazione, dividendola e ipotizzando un futuro dialogo con i singoli capi tribù e sceicchi». Quanto è concretamente possibile la soluzione dei due Stati? «Oggi non lo è perché a Gaza l’interlocutore è un movimento terrorista come Hamas, mentre in Cisgiordania l’Anp ha dimostrato tutta la sua debolezza» riflette Cuzzelli.

In tutto ciò la luna di miele fra Trump e Netanyahu sembra essere entrata in crisi: «Ammesso che ci sia mai stata, oggi vede senz’altro Trump in una posizione difficile. Da uomo d’affari è combattuto infatti tra l’obiettivo di dare concretezza agli accordi commerciali stipulati con i Paesi arabi moderati del Golfo e la condizione di risolvere la questione palestinese, posta da questi ultimi. In questo momento Netanyahu rappresenta una fonte di problemi per la Casa Bianca, perché – proprio come Putin – ha per obiettivo il mantenimento del suo potere: non può fare a meno della guerra, che gli garantisce la conservazione dello status quo. I popoli israeliano e russo sono ostaggio di questi personaggi e del loro sistema di potere, un po’ come quello palestinese lo è di Hamas».

di Eleonora Lorusso

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