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Le bombe e la (probabile) ritorsione dell’Iran: così Trump entra in guerra al fianco di Israele

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L’attacco statunitense all’Iran è andato esattamente come molti analisti avevano previsto: Trump prende tempo, poi bombarda a sorpresa. Ora la regione rischia il caos, ma Washington non si ritiene in guerra

Le bombe e la (probabile) ritorsione dell’Iran: così Trump entra in guerra al fianco di Israele

L’attacco statunitense all’Iran è andato esattamente come molti analisti avevano previsto: Trump prende tempo, poi bombarda a sorpresa. Ora la regione rischia il caos, ma Washington non si ritiene in guerra

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Le bombe e la (probabile) ritorsione dell’Iran: così Trump entra in guerra al fianco di Israele

L’attacco statunitense all’Iran è andato esattamente come molti analisti avevano previsto: Trump prende tempo, poi bombarda a sorpresa. Ora la regione rischia il caos, ma Washington non si ritiene in guerra

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L’ultima newsletter di ieri del “New York Times” riguardava i migliori occhiali da sole economici da comprare per non farsi accecare dal sole estivo. Quella delle 2:25 del mattino di oggi informava i lettori che gli Usa avevano lanciato un attacco a sorpresa sull’Iran. Per scongiurare che Teheran possa dotarsi del suo ‘sole artificiale’ per lanciarlo sulle teste dei nemici degli ayatollah. Un po’ come quando al telegiornale si passa dell’ultimo modello di costume in voga sulle spiagge a un qualche omicidio/suicidio avvenuto nella periferia degradata di una città italiana.

L’attacco statunitense all’Iran è andato esattamente come molti analisti avevano previsto, ormai adusi alla grossolanità trumpiana. Il tycoon si è dato due settimane per decidere. Poi ha letto che gli israeliani avrebbero attaccato il sito nucleare di Fordow anche da soli. Forse, preoccupato dal vedere confermata la teoria T.A.C.O. (“Trump se la fa sempre sotto”), ha ordinato alla sua aviazione di lanciarsi nel buffet di una guerra che vede Tel Aviv già in gran vantaggio su Teheran. Gli indicatori c’erano tutti, oltre al dislocamento di due portaerei nucleari aggiuntive nel teatro operativo del CENTCOM, il Comando statunitense per il Medio Oriente. Che già schiera la USS Carl Vinson.

Ieri tutti gli analisti Osint degni di questo nome avevano sottolineato come i B-2 Spirit partiti dagli Usa avessero eseguito un rifornimento subito dopo il decollo. Un bombardiere ha bisogno di abbeverarsi immediatamente dopo lo sforzo di toccare la quota di crociera soltanto quando ha già la ‘pancia’ piena di ordigni. Specialmente se le bombe che trasporta sono alte come una villetta a due piani come le bunker buster GBU-57 MOP. Rimaneva il dubbio se dovessero o meno continuare a fare deterrenza dalla base di Diego Garcia nell’Oceano Indiano. Ma non sarebbe stato necessario far viaggiare a pieno carico i bombardieri per una ‘semplice’ minaccia.

In pratica Trump ha replicato in Iran quello che fece Bush il 7 ottobre 2001, attaccando l’Afghanistan con una flotta di bombardieri partita dagli Usa. Con l’eccezione che stavolta non sono stati usati i sempiterni B-52. Sono bastati i B-2 invisibili ai radar (già in maggior parte non funzionanti in Iran a causa dei raid israeliani) per sganciare le bombe per 180 tonnellate sul sito nucleare di Fordow, giudicato tra i più sicuri. La grande profondità del complesso ha convinto gli strateghi del Pentagono a raddoppiare le GBU-57 da utilizzare per distruggerlo. Dieci ordigni per un’area di neanche un chilometro quadrato.

Per Trump l’impianto più importante in Iran è stato distrutto. Come quelli di Natanz e il sito di Esfahan dove si ritiene che sia stoccata una parte considerevole dell’uranio arricchito oltre il livello civile. Il tycoon ha saltato a piè pari il Congresso, considerando il bombardamento come un’operazione e non una dichiarazione di guerra. Un modo putiniano di pensare ai conflitti. Una serie di “operazioni militari speciali” volte a disarticolare il diritto internazionale, ma che comunque ammontano poi a dichiarazioni di guerra de facto. E ora quella che andrà monitorato sarà la reazione iraniana, già appannata contro il piccolo Stato ebraico.

Appena sorto il sole, Teheran ha reagito con il lancio di missili balistici sul centro e il nord di Israele. Impiegando ordigni con testate “a grappolo” che riescono a superare più facilmente la contraerea. Tel Aviv sostiene di aver risposto distruggendo in tempo reale i lanciatori usati nell’attacco, degradando ulteriormente le capacità del regime degli ayatollah. Le basi statunitensi nell’area si stanno preparando alla ritorsione, ma il punto più caldo rimane lo Stretto di Hormuz. L’Iran può bloccarlo abbastanza facilmente con la sua flotta di piccole navi specializzate e con il dislocamento di mine. Ma un’operazione di questo tipo potrebbe scatenare persino un’invasione di terra delle forze degli Usa. L’ipotesi più accreditata è uno sbarco nell’area di Bandar Abbas, per assicurare il passaggio del greggio e del gas da questa strategica area marittima.

Di Camillo Bosco

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