«Li hanno fatti a pezzi davanti a me» – in diretta dal fronte europeo di Zaporizhia
Dai posti di blocco posizionati nelle vie d’accesso meridionali a Zaporizhzhia in poi, le strade sono già protette da reti anti drone
«Li hanno fatti a pezzi davanti a me» – in diretta dal fronte europeo di Zaporizhia
Dai posti di blocco posizionati nelle vie d’accesso meridionali a Zaporizhzhia in poi, le strade sono già protette da reti anti drone
«Li hanno fatti a pezzi davanti a me» – in diretta dal fronte europeo di Zaporizhia
Dai posti di blocco posizionati nelle vie d’accesso meridionali a Zaporizhzhia in poi, le strade sono già protette da reti anti drone
Malokaterynivka – Dai posti di blocco posizionati nelle vie d’accesso meridionali a Zaporizhzhia in poi, le strade sono già protette da reti anti drone. Quei lunghissimi corridoi di sicurezza, che s’estendono per decine di chilometri, lasciano intendere quanto sia incombente la minaccia russa alla sesta città più popolosa dell’Ucraina. Con stormi di droni FPV di produzione cinese l’esercito d’occupazione sta terrorizzando la popolazione civile ucraina tanto che ai margini di quelle corsie relativamente riparate si trovano carcasse di veicoli, piazzole e stazioni di servizio abbandonate, lamiere divelte e incenerite della segnaletica e della cartellonistica pubblicitaria e carcasse d’animali. Più su, in quelle stese reti che salvano le nostre vite, finiscono mortalmente intrappolati uccelli e pipistrelli tanto da distinguerli a fatica dalle intelaiature dei quadricotteri.
Chi manovra quei vettori di morte conosce ormai tanto bene quei passaggi da riuscire a infiltrarvisi sfruttando qualche breccia di disimpegno ai lati o aprendone di nuove con altri UAV. Con conseguenze terrificanti, perché trovarsene uno di fronte sfrecciando a tutta velocità equivale a morte certa. Scene da film dell’orrore che gli abitanti delle piccole frazioni a Sud di Zaporizhzhia vivono ogni giorno.
In uno dei pochissimi distributori di carburante rimasti attivi lungo quelle arterie martoriate ho parlato con una ragazza che, per mantenere attiva quella struttura, s’è vista costretta a racchiuderla con reti metalliche rigide saldate fra loro finendo costretta a lavorare dentro a quel recinto per giorni e notti interminabili.
Trattenendo a stento le lacrime mi ha detto d’aver perso entrambe le case che aveva a Malokaterinivka e così tutti i familiari che si trovavano al loro interno quando i russi l’hanno fatte esplodere. «Li hanno fatti a pezzi davanti a me» – ha sussurrato a gola stretta, aggiungendo che altri, come lei, sono stati costretti a trasferirsi in villaggi vicini come Balobine.
Le condizioni a Malokaterynivka sono incompatibili con la vita.
Pubblicare sul canale YouTube di questo giornale una piccola parte delle riprese che ho effettuato sta risultando complicato per via del loro contenuto. Darne testimonianza è però necessario, perché quell’inferno in cui la Russia sta inghiottendo l’Ucraina è alle porte d’altre città europee e chiudere gli occhi non l’allontana. «Il grande dibattito è se si stratta della guerra dei russi o di Putin. Sfortunatamente è la guerra dei russi. Ogni russo, me incluso, ha la responsabilità dei crimini commessi in Ucraina». Più volte ripreso anche nei nostri articoli, questo concetto espresso dal dissidente russo Gary Kasparov apre a una riflessione logica e coerente: la difesa delle trincee della democrazia spetta a tutto il mondo libero. In primis all’Europa, perché ogni europeo ha la responsabilità di proteggere quei valori e quelle vite che la Russia distrugge alle sue porte. Non soltanto l’Ucraina.
L’opinione pubblica ucraina è oggi profondamente critica nei confronti dell’Europa e della NATO: tanto al fronte quanto nelle città la gente si sente abbandonata e vede il proprio sacrificio dissolversi nel nulla. Individui provati dalla guerra come la ragazza sopravvissuta alla mattanza della sua famiglia a Malokaterynivka o le decine di civili e militari con cui ho parlato di recente mi hanno chiesto stizziti di non parlargli d’Europa. I tempi in cui vidi sventolare la bandiera a stelle in cerchio sull’ultimo avamposto prima di Bakhmut sono distanti. Di soldati con lo chevròn europeo orgogliosamente al braccio che gridano «qui c’è l’Europa, là ci sono le paludi» non ne incontro più. Lungo la mia traversata per tutto il fronte Sud di Zaporizhzhia ben pochi civili o soldati hanno mancato di ricordarmi che quel profluvio di droni Mosca lo compra da Pechino con soldi anche europei.
Dodici anni d’assegni miliardari staccati per finanziare il terrorismo russo e la costruzione d’infrastrutture come il Nord Stream 2 a Ucraina già invasa sono stati un abominio. Inveterato da insulsi caveat che hanno impedito a questa gente di difendersi attaccando chi l’aggrediva, cioè secondo quanto il Diritto internazionale prevede. Lungo i miei recenti spostamenti tra il fronte e città martoriate come quella da cui scrivo non ho incontrato alcun operatore dei media. Molti i russi li hanno uccisi; altri si sono resi irriconoscibili per sperare di non fare la stessa fine; altri ancora, la stragrande maggioranza, continuano a narrare a distanza ciò che troppi ancora chiamano «conflitto».
Leggendone sui social network, fidandosi degli assessment di think tank che s’affidano agli sbandieramenti di milblogger vari, o rilanciando agenzie. Le immagini del fronte europeo a Sud di Zaporizhzhia andrebbero proiettate a ciclo continuo laddove invece penetra ancora troppa propaganda. Quella da cui emergono le testimonianze raccolte è lunga grey zone che, prima di sfumare verso qualche pallido colore, s’estende per oltre 150 chilometri. Lasciando intendere che ne esista un’altra, invisibile, che separa il resto del mondo da questa realtà.
Di Giorgio Provinciali e Alla Perdei
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