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L’imbarazzo della von der Leyen è anche il nostro

La parità di genere è un traguardo assai lontano. Ma il siparietto avvenuto a Bruxelles tra il ministro degli Esteri ugandese Odongo Jeje, Charles Michel e Ursula von der Leyen è ancora prima una questione di educazione che di genere.
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L’imbarazzo della von der Leyen è anche il nostro

La parità di genere è un traguardo assai lontano. Ma il siparietto avvenuto a Bruxelles tra il ministro degli Esteri ugandese Odongo Jeje, Charles Michel e Ursula von der Leyen è ancora prima una questione di educazione che di genere.
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L’imbarazzo della von der Leyen è anche il nostro

La parità di genere è un traguardo assai lontano. Ma il siparietto avvenuto a Bruxelles tra il ministro degli Esteri ugandese Odongo Jeje, Charles Michel e Ursula von der Leyen è ancora prima una questione di educazione che di genere.
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La parità di genere è un traguardo assai lontano. Ma il siparietto avvenuto a Bruxelles tra il ministro degli Esteri ugandese Odongo Jeje, Charles Michel e Ursula von der Leyen è ancora prima una questione di educazione che di genere.
Quel che è accaduto a Bruxelles al summit tra l’Unione Europea e l’Africa è l’ennesima conferma che la storia si ripete sempre uguale a sé stessa. Corsi e ricorsi storici che si susseguiranno ancora fintanto che la parità di genere non diventerà un obiettivo da perseguire a tutti i costi e non solo uno slogan privo di valore. La figuraccia del presidente turco Erdogan dello scorso aprile ad Ankara ai danni di Ursula von der Leyen a quanto pare, non è servita a nulla. In quell’episodio, denominato poi “sofagate”, la presidente della Commissione Europea venne relegata su un divano a debita distanza mentre il leader turco Erdogan e il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel sedevano in poltrona, l’uno accanto all’altro. Vale a dire: partecipa pure ma non sei dei nostri. Oggi, nonostante le scuse e le assunzioni di responsabilità dello stesso Michel, la storia si è ripetuta. Durante il vertice a Bruxelles tra Ue e Africa, il Ministro degli esteri ugandese Odongo Jeje ha salutato con una stretta di mano il presidente Michel e il premier francese Macron oltrepassando (letteralmente) la povera von der Leyen, in palese imbarazzo. Lei, con la solita compostezza, non ha reagito mentre l’unico a muovere un dito è stato il presidente Macron, che ha spronato in ben due occasioni il ministro ugandese a rivolgersi a lei. A rendersi conto, semplicemente, che lei era lì. Il teatrino, tutto racchiuso in un video di 40 secondi, è talmente inequivocabile che sarebbe inutile sottolinearne la sgradevolezza. La mancanza di educazione e tatto di Odongo Jeje, confrontate con la risolutezza e pacatezza (ampiamente dimostrata in molte altre occasioni) della Presidente si commenta da sola. C’è poi, come in ogni storia che si rispetti, l’eroe di turno, rappresentato in questo caso da Macron che sembra l’unico ad aver conservato in quel momento un barlume di lucidità. Ma il personaggio chiave a cui prestare attenzione è Charles Michel, sempre più sovrapponibile a l’emblematica scimmietta del “non vedo-non sento-non parlo”. Se non a posteriori, cioè quando non serve più. Dopo la vicenda ad Ankara aveva dichiarato di essere profondamente dispiaciuto per l’accaduto e per la sua omertà: “Ho già espresso il mio rincrescimento alla signora von der Leyen e a tutte le donne. Vi assicuro che da allora non dormo bene la notte e che nella mia testa ho riavvolto il film dell’episodio decine di volte. Assumo la mia parte di responsabilità. Dovremo evitare situazioni di questo tipo in futuro”. La von der Leyen all’epoca dei fatti dichiarò di essersisentita ferita come donna e come europea. Tutto questo riguarda i valori che sono alla base della nostra Unione e dimostra quanto dobbiamo ancora fare perché le donne siano trattate con parità“. Sbagliare è umano, perseverare è diabolico. Charles Michel ha peggiorato la sua già fragile posizione in tema di equità di genere. D’altro canto è cosa nota che fra i due non scorra buon sangue. In Francia la chiamano la “guéguerre”: la guerra piccina tra due leader spesso in attrito sulle grandi questioni, le cui idee discordanti non rispecchiano gli ideali di unità e coordinazione che i 27 paesi dell’Ue si aspettano da loro. Michel ha sprecato l’ennesima occasione per dimostrare al mondo quanto gli stia a cuore colmare il gender gap, a cominciare dalle sue stesse azioni. Che poi potrebbero essere anche le nostre se guidate dal buon esempio. Non basta non essere il protagonista di un atto denigratorio perché il silenzio, così come una non-azione, può avere conseguenze altrettanto serie. Forse Charles Michel insieme al sonno ha perso anche il senno. Gli consigliamo di dormirci su e di aguzzare i riflessi la prossima volta.   di Raffaela Mercurio  

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