Liz Magill, università e parole
| Esteri
Liz Magill, rettrice della University of Pennsylvania, è stata costretta a chiedere scusa dopo le risposte confuse e imbarazzanti rese durante un’audizione al Congresso degli USA
Liz Magill, università e parole
Liz Magill, rettrice della University of Pennsylvania, è stata costretta a chiedere scusa dopo le risposte confuse e imbarazzanti rese durante un’audizione al Congresso degli USA
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Liz Magill, università e parole
Liz Magill, rettrice della University of Pennsylvania, è stata costretta a chiedere scusa dopo le risposte confuse e imbarazzanti rese durante un’audizione al Congresso degli USA
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AUTORE: Fulvio Giuliani
Partiamo dalla fine: la rettrice della University of Pennsylvania, Liz Magill, sabato ha rassegnato le dimissioni dopo essere stata costretta a chiedere scusa a seguito delle risposte evasive, confuse e imbarazzanti rese durante un’audizione al Congresso degli Stati Uniti d’America. Rito che in quel Paese è in cima alla scala di serietà, peso politico e immagine. Era al fianco delle colleghe Claudine Gay della prestigiosissima Harvard University e Sally Kornbluth del Massachusetts Institute of Technology, il leggendario Mit di Boston. Incalzata dai deputati sulle proteste degli studenti dei tre atenei contro Israele per la reazione militare seguente all’attacco del 7 ottobre, Liz Magill non è riuscita a condannare in modo chiaro e inequivocabile l’opinione di molti fra chi si è schierato con Hamas, secondo cui la reazione israeliana configurerebbe un “genocidio” della popolazione palestinese. Davanti all’enormità di una simile accusa, le tre rettrici non sono riuscite a esprimere durante l’audizione una chiara condanna, rifugiandosi in giri di parole e distinguo risibili. Anche soltanto poter pensare di associare il concetto di “genocidio” allo Stato di Israele richiama le profondità della nostra anima, eppure… nulla.
Travolta dalle polemiche, la Magill ha abbozzato la goffa e tardiva retromarcia di cui sopra, forse perché dopo l’inquietante spettacolo offerto sono state ritirate lucrosissime sovvenzioni alla sua università. Persi in un amen più di 100 milioni di dollari, la numero uno della University of Pennsylvania ha improvvisamente riscoperto l’impossibilità concettuale di paragonare quanto subìto dal popolo ebraico nella sua storia (alla Shoah non si arrivò per caso e non senza precedenti in Russia e in giro per l’Europa) con la risposta militare del governo di Netanyahu all’infame giornata del 7 ottobre 2023.
Le radici dell’antisemitismo sono profonde, risalgono a ben prima del XIX secolo e attraversano in lungo e in largo il Vecchio Continente. Gli Stati Uniti vivono da sempre la dicotomia di una potente comunità ebraica e di pulsioni antiebraiche se non direttamente antisemite. Siamo felici di essere parte del mondo che considera sacra la libertà di espressione e opinione, anche quelle più urticanti. È parte di ciò che fa dell’Occidente un faro. Questo non si può trasformare, proprio per la nostra storia, in negazionismo o focolai di antisemitismo. Chi lo consentisse – lo abbiamo sperimentato nei nostri atenei con i farneticanti appelli contro Israele e a favore dei terroristi – può avere tutte le opinioni di questo mondo ma non può dirigere un’università.
di Fulvio Giuliani
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