Lukashenko in trappola
La Bielorussia è stata coinvolta nella guerra di Putin, relegata a retrovia militare e logistica delle truppe russe. Funzionari dell’intelligence Usa non escludono che Lukashenko possa alla fine gettare i suoi soldati nel conflitto.
| Esteri
Lukashenko in trappola
La Bielorussia è stata coinvolta nella guerra di Putin, relegata a retrovia militare e logistica delle truppe russe. Funzionari dell’intelligence Usa non escludono che Lukashenko possa alla fine gettare i suoi soldati nel conflitto.
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La Bielorussia è stata coinvolta nella guerra di Putin, relegata a retrovia militare e logistica delle truppe russe. Funzionari dell’intelligence Usa non escludono che Lukashenko possa alla fine gettare i suoi soldati nel conflitto.
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La Bielorussia è stata coinvolta nella guerra di Putin, relegata a retrovia militare e logistica delle truppe russe. Funzionari dell’intelligence Usa non escludono che Lukashenko possa alla fine gettare i suoi soldati nel conflitto.
Nonostante Lukashenko non abbia ancora inviato un solo soldato in Ucraina, la Bielorussia è stata comunque coinvolta nella guerra di Putin, relegata a retrovia militare e logistica delle truppe russe. Dal Sud del Paese si sono mosse le colonne ingloriosamente impegnate nella campagna di Kiev e lì stanno rientrando decimate, con sulla coscienza il carico delle atrocità commesse. I satelliti americani continuano a osservare proprio in Bielorussia grandi movimenti di truppe russe, segno della dislocazione delle forze verso l’area del Donbass, probabile fronte della prossima offensiva di Pasqua.
Ma assieme al rinnovato via vai dei soldati di Mosca, sono aumentati i sabotaggi organizzati dagli oppositori del regime di Lukashenko, che già avevano intralciato la movimentazione logistica prima dell’attacco di fine febbraio. Oppositori annidati non solo fra studenti e intellettuali ma anche tra lavoratori come i ferrovieri. Macchinisti, operai, addetti agli scambi: sono oltre una decina i sabotaggi documentati nelle ultime settimane dal blogger Anton Motolko, che sui suoi canali Twitter e Telegram monitora le azioni di ribellione contro la presenza russa nel suo Paese.
Il network delle ferrovie è vitale per la logistica dell’esercito di Putin e i sabotaggi hanno ritardato spostamenti, complicato strategie, ingolfato la non perfetta macchina militare russa. In molti casi il traffico è stato interrotto e non ripristinato, tanto che una parte delle movimentazioni è stata trasferita sulla meno efficiente rete stradale.
Nel frattempo la pubblicizzazione carbonara delle azioni di disturbo, fatta attraverso foto e messaggi su quel che resta in piedi del web libero o volantini di rivendicazione, ha ringalluzzito la sotterranea opposizione interna. Nelle ultime settimane si è registrata una silenziosa fuga di giovani: si tratta soprattutto di militari, spesso scappati con le proprie famiglie, che potrebbero essere chiamati a combattere in Ucraina.
Le chat dell’opposizione bielorussa pullulano di testimonianze in tal senso e talvolta le notizie filtrano anche sulla stampa occidentale. Il “Tagespiegel” di Berlino ha riportato la testimonianza di una coppia di giovani rifugiatasi in Georgia: altri sfollati da mettere in conto alla guerra di Putin.
Funzionari dell’intelligence Usa non escludono che Lukashenko possa alla fine gettare i suoi soldati nel conflitto. Se non lo ha ancora fatto è perché la maggioranza dei bielorussi è contraria.
La guerra non è un buon affare per un presidente da due anni sempre in bilico, perché le conseguenze stanno erodendo due dei pilastri su cui si fonda il suo potere (oltre all’apparato repressivo): il livello minimo ma diffuso di tranquillità economica con cui ha ‘comprato’ il consenso passivo della maggioranza della popolazione è minacciato dalle sanzioni occidentali, che colpiscono un sistema integrato come quello di Minsk e Mosca, mentre l’impossibilità di decidere tempi e presenze dell’armata russa sul proprio territorio ne mina l’autorevolezza interna.
Oggi il suo potere è ancora saldo e gli oppositori politici sono in carcere (come Viktor Babariko) o in esilio (come Svetlana Tikhanovskaya). Ma il buco nero della guerra, alla lunga, potrebbe inghiottire anche l’autocrate di Minsk.
Di Pierluigi Mennitti
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